BasilicataSport

Antonio Barbalinardo ha in mano l’Atletico Marconia

Sarà perché è un gran comunicatore. Sarà perché parla spesso il dialetto ai suoi per poterlo essere. O forse perché a un difficile stadio come il Comunale s’è fatto le ossa. Le qualità che il mondo del calcio marconese individua in Antonio Barbalinardo sono tutte vere e valide. Ma ce n’è una, adesso che lui si gioca tutto, ma proprio tutto, nella sua prima stagione, che non va dimenticata. E’ un bravo tecnico. Certo, ha fortuna. Che nella vita serve e fa comodo. Ma attenzione a derubricare il cammino di Malatesta solo col suo prominente lato B. Appena giunto nello spogliatoio rossoblu, guardata la rosa sconfinata, aveva avuto un’idea: gioco col tridente. Il tempo delle amichevoli estive e subito la correzione. Difesa a 4, Cazzato davanti alla sopracitata, centrocampo a 4 con esterni mobili (Camardella, Gatto, Mangia, Camardo, Manni, Latronico e Laurenza disposti a scambiarsi posizione), e là davanti, ma sempre al centro della manovra, Provenzano, affiancato dalla punta di turno che muta a seconda delle sue idee per sbaragliare le difese avversarie. Così, senza far rumore, senza proclami, senza fare il fenomeno, Barbalinardo s’è preso l’Atletico. E con la squadra, adesso, pure una buona fetta del calcio territoriale. A quattro punti dalla vetta, vivo e vegeto per l’impegno di campionato alle porte, Malatesta ha risposto con i fatti a chi pensava – ed erano in tanti – fosse un bluff. L’ha fatto smontando il credo che per far bene in panchina devi fare il fenomeno. Ha usato, a differenza di tanti pseudo Guru del calcio in giro per bar e circoli, l’educazione. Rapporto schietto con tutti i giocatori e con quelli che non avevano voglia di fare, non è stato tenero. Ha retto con la saggezza di chi è scappato di casa perché c’era in corso una “guerra morale”, chiaramente vinta, c’era la tracimante presenza verbale e non solo di chi, grazie a Dio, è andato a fare il bagno presso altri lidi. Ha fatto suo lo spogliatoio, chiedendo rispetto, ma soprattutto – fondamentale con i calciatori in genere – concedendolo lui per primo. Certo è, che senza il collettivo sarebbe in un’altra parte della classifica. Quindi non è assurdo pensare, anzi, che l’Atletico sia collettivo-dipendente. E’ una squadra solida, maledettamente pratica, disposta al sacrifico, molto, moltissimo, affamata. Di vittorie, di soddisfazioni e anche di piccole grandi rivincite. L’obiettivo precipuo è quello di ottenere la promozione in Seconda. Non sarà affatto semplice centrarlo, data la indubbia forza della concorrenti dirette al salto di categoria. Ma l’Atletico non dovrebbe smettere di crederci perché i mezzi tutto sommato li ha pure. Dovremmo sempre cercare di mettere in campo tutto quello che ha. Poi, i risultati, verranno da soli. L’Atletico deve solo avere il dovere sacrosanto di non smettere di crederci.

Cristian Camardo

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *