BasilicataCultura

Il saggio di Raffaele Pinto presentato sabato 20 al Cecam di Marconia

E’ il frutto di un ampio lavoro di ricerca, propositivo, ricco di fatti, avvenimenti, spunti e anche di provocazioni, l’ultimo saggio storico d Raffaele Pinto “La Basilicata tra il XIX e XX sec.” edito da Archivia. Ma è anche opera disponibile ad accettare, seppure con riserve, le nuove istanze che la vulgata revisionista propone, senza negare o rinnegare quelli che sono i capisaldi della storia e i traguardi raggiunti in termini di lotte per la conquista della libertà, democrazia e di diritti inviolabili della persona. In tale ottica, è un libro diverso dagli altri, scritto con passione e determinazione ma forse anche con sofferenza perché alla fine lascia trasparire un vago e palpabile senso di incompiuto nella piena convinzione che tanti problemi della Basilicata, vecchi e nuovi, ma sempre identici, non sono stati ancora risolti. Lo spazio di tempo preso in esame è abbastanza ampio per presentare ed approfondire tematiche da altri lasciate in sospeso, e che abbraccia la dimensione storica, umana, culturale, sociale ed economica di una regione, che, tra luci ed ombre, ha saputo crearsi un suo spazio privilegiato, sfatando il ricorrente luogo comune di una terra ricca solo di microstorie, di miseria culturale e povertà. Con Pinto la Basilicata si eleva e si riappropria della sua dignitosa ed aristocratica dimensione storica. L’insurrezione lucana del 1860 che anticipa l’Unità d’Italia, pure in presenza delle tante e non vane polemiche circa la gestione del governo prodittatoriale lucano, ne è un esemplificazione unica e non ripetibile. La lettura e l’interpretazione delle fonti, anche inedite ed inesplorate, hanno consentito all’autore di mettere insieme un voluminoso corpus, che contribuisce a rendere il saggio ricco di stimoli forti al dibattito e alla discussione.

Ed alla fine ne scaturisce una vasta problematica da esaminare e riproporre nei suoi aspetti peculiari che riconduce verso la forte aspirazione delle popolazioni lucane a migliori condizioni di vita e di benessere sociale ed economico. Tutta la storia regionale , in ogni epoca, è permeata di questi nobili ideali e di impeti, tra sconfitte e qualche vittoria, in una guerra perenne di civiltà e di lavoro. I principali avversari non sono stati i dominatori francesi, spagnoli, borbonici, austriaci o piemontesi ma i signori, i galantuomini, i padroni che sfruttavano la massa, adottando sempre metodi di stampo medioevale o feudale. E per questo il problema della terra e del lavoro, oltre a quello della libertà, ha caratterizzato le principali tappe storiche che il lavoro di Pinto prende in esame, presentandole in un unicum di lotte e di aspirazioni contro i nuovi padroni trasformisti e contro l’egemonia dei borghesi. I Lucani cambiano pelle e casacca ma non l’identità. I giacobini della breve repubblica partenopea del 1799 diventano i liberali del 1821. Affidano poi le speranze di rivincita ai costituzionalisti del 1848 ed agli insorti del 1860, che dopo i primi entusiasmi riflettono sulle loro condizioni e si rendono conto che nulla è cambiato. Finisce con una sconfitta e inizia una nuova storia destinata anch’essa a confermare che la scrivono solo i vincitori. E’ scritto veramente nel fato che il popolo lucano debba sempre soccombere e debba essere destinato alla sconfitta? E’ questo l’inquietante interrogativo che Pinto propone, attraverso il denominatore comune della Questione Meridionale, l’evento più lungo e drammatico, ancora non risolto, alla ricerca della Lucanità smarrita. Uno spazio privilegiato è dedicato al brigantaggio come fenomeno sociale e politico ma c’è anche tanto riscontro per altri aspetti come la vita materiale, scuola, società, ruolo della donna, famiglia, alimentazione, viabilità, sanità, malaria, emigrazione.

Giuseppe Coniglio

 

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