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Lo sfogo del sindaco ‘sospeso’ di Tricarico, Antonio Melfi

 

Le sentenze si rispettano, la Giustizia è sovrana, la legge è garanzia di imparzialità, l’Italia è uno Stato di diritto: se ai cittadini non è assicurato il rispetto della giusta durata del processo, almeno dovrebbe essere tutelato il loro diritto ad un processo giusto ed al riconoscimento del principio della presunzione di innocenza fino all’ultimo grado di giudizio. Pertanto, al preveggente giornalista Leo Amato, consiglio di attendere gli sviluppi ed il pronunciamento della Suprema Corte, prima di proclamare che “la pena rischia di diventare definitiva, che al netto dell’indulto potrebbe voler dire comunque l’interdizione perpetua dai pubblici uffici”. Sempre al competente giornalista citato mi permetto di ricordare che Tricarico è una vera Repubblica, senza bisogno di sarcastiche virgolettature, perché Tricarico, nel corso degli ultimi 20 anni – ma anche prima – ha dato prova di scegliere con totale ed estrema libertà, convinzione e senso civico, i suoi rappresentanti istituzionali a tutti i livelli: come mai le virgolette intervengono solo se si parla del Sindaco Melfi e non dei suoi predecessori? Forse perché si ritiene, erroneamente ed ingiustamente, che prima Tricarico non fosse un Repubblica ma un feudo di qualche lobby politico-giuridico-affaristica? Ed ancora mi risulta difficile comprendere la affermazione: “SOPRA LA LEGGE C’ERA LUI”: se così fosse stato perché il solerte e sempre attento Prefetto di Matera, particolarmente e pedissequamente vicino alle vicende della Città di Tricarico, non si è mai premurato di intervenire, con tutti i mezzi che la LEGGE gli mette a disposizione, per riportare la legge a Tricarico, ponendo anche il LUI nella legge? O forse la frase andrebbe interpretata che, con il tre volte primo cittadino, la legge era ed è conosciuta, rispettata, applicata e garantita a Tricarico come non mai, a tutti i livelli?

Passando ora al dettaglio della conclamata sentenza di Appello di Potenza occorre precisare che, per intanto, il ricorso in Cassazione attenderà lo scadere dei 45 giorni di rito prima di essere presentato, in ciò uniformandomi al comportamento dei giudici potentini che hanno utilizzato ben 85 giorni, dei 90 che si erano riservati, per depositare una sentenza della bellezza di 30 pagine, ivi comprese le 12 introduttive e sintetizzanti lo svolgimento del procedimento. Giusto per la cronaca, vorrei ricordare che lo stesso tempo di 90 giorni fu quello riservatosi dalla Corte che giudicò gli imputati nel processo alle Brigate Rosse per il rapimento e l’esecuzione del Presidente Aldo Moro: quale onore per me essere associato non alle BR, ma al grande statista, mio insegnante di vita, di politica, di eticità, di rispetto delle Istituzioni, che è stato l’ineguagliabile prof. Aldo Moro!

Sempre per la cronaca è bene che si sappia come si è svolta l’udienza del 5 aprile 2012 che vedeva imputato il tre volte primo cittadino di Tricarico, a detta del giudice Materi “figura di un pubblico amministratore protervo e dispotico”. Nel mentre l’avvocato difensore Nicola Buccico si produceva, per circa 90 minuti, nell’arringa difensiva, il Procuratore Generale, dott. Rota, ha ininterrottamente armeggiato con il suo cellulare mentre il giudice Materi ha ininterrottamente scritto sui suoi fogli senza mai alzare lo sguardo. Per di più nella “Repubblica” di Potenza, all’imputato Antonio Melfi, nel mentre rilasciava, come di rito, dichiarazioni spontanee, veniva rivolto l’invito a non pronunciare “ un proclama”; tale invito in un oggettivo contesto di forte stress emotivo e psicologico, suonava a dir poco dissuasivo, per usare un eufemismo, se non addirittura intimidatorio e coartante della libertà costituzionale di espressione libera di parola. E, si badi bene, le dichiarazioni del sottoscritto non si configuravano né come minacce, né come calunnie, né come avvertimenti illeciti alla Corte: trattavasi semplicemente di esplicitazioni emozionali, per così dire, di quanto la vicenda giudiziaria in questione aveva influito sulla vita di un uomo. Il punto è proprio questo: per la Corte d’Appello di Potenza, come già prima per il Tribunale di Matera, Antonio Melfi non era da ritenersi, e quindi da giudicarsi, come uomo, degno del rispetto della dignità sancita dalla Costituzione Italiana e, prima ancora dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Per le due onorevoli Corti lucane Antonio Melfi è semplicemente un bersaglio su cui convogliare risentimenti di dubbia natura, anatemi di invidia malevola, manie di presuntuosa e pretestuosa eticità politica: in una parola Antonio Melfi, “il tre volte primo cittadino di Tricarico, nonché ex- capogruppo dell’allora CCD in Consiglio Regionale di Basilicata”, aprioristicamente deve essere considerato, come effettivamente è stato considerato nelle “repubbliche” di Matera e di Potenza, come un mostro. Perché? Forse perché nessuno come lui, perlomeno in Basilicata, continua a raccogliere a piene mani e a pieni voti i consensi e la stima della gente umile, semplice, perbene. Per tornare all’udienza del 5/04/2012, svoltasi così come finora dettagliato, la stessa si è conclusa con una Camera di Consiglio di appena 40 minuti per emettere sentenza di condanna nei miei confronti.

Gli stralci della sentenza pubblicata sul Quotidiano della Basilicata in data 8/7/2012, anche ad una distratta lettura, fanno risaltare in forma eclatante il modus procedendi della Corte, la quale, lungi dall’analizzare i fatti sottoposti al vaglio, le eccezioni sollevate circa le vistose e madornali illecite procedure di ricorso ed utilizzo delle captazioni telefoniche ed ambientali, i dati documentali che avrebbero dovuto concretizzare i capi d’imputazione a mio carico, si limita a compiere una analisi psicologia della “figura di un pubblico amministratore protervo e dispotico”: si attribuisce addirittura all’imputato una “capacità di resistenza psicologica superiore alla media” oltre che una “disarmante prepotenza”. Che dire? Credevo di essere giudicato dai tutori della legge e del diritto, per presunti reati che, ipoteticamente, avrei commesso ormai 13 anni orsono e invece scopro di essere stato sottoposto ad indagine psicoanalitica per delineare il mio profilo comportamentale! Mi ritrovo a studiare tutt’altro che una sentenza di valore e fondamento giuridico, quanto piuttosto una lombrosiana relazione di fisiognomica: chissà che non faccia storia nel Diritto Penale Italiano! Ad avvalorare questa tecnica spiccatamente lombrosiana concorrono le numerose affermazioni riconducibili al genere psicoanalitico, una fra tutte “il più grave fenomeno di un sindaco che esercitando il metus derivante dalla sua posizione apicale, snaturando e tradendo sistematicamente la sua pubblica funzione, ha conculcato il rispetto della legge….” (e qui aprirei una parentesi: dunque la legge era la via maestra seguita dal sindaco che addirittura ne “conculcava” il rispetto!)…”affermando in tal modo il primato della sua volontà su ogni regola giuridica sostanziale e procedurale oltre che etica” (apro un’altra parentesi: dai tempi di Machiavelli la politica è una scienza diversa dall’etica: che la Corte d’Appello di Potenza si sia trasferita al Tribunale della Sacra Rota o abbia assunto il ruolo di educatore e insegnante di virtù, intese in senso aristotelico?)

Sorvolando sugli errori madornali in cui anche la Corte d’Appello incorre, per l’ennesima volta – c’è da credere, dunque, che non trattasi di semplice refuso ma di palese superficialità e artata disattenzione – si continua a parlare di “gara per la progettazione preliminare delle opere di recupero e valorizzazione dell’area Torre Saracena, con creazione del Teatro regionale” (ma qualche riga dopo, nella sentenza, il medesimo teatro diventa addirittura Teatro Europeo!!) quando invece trattavasi soltanto di un concorso di idee. Ma per l’ennesima volta non c’è uno, dico uno, accenno a fatti documentati e incriminabili: le chiacchiere si susseguono, i dati incontrovertibili non esistono, il dileggio su questioni attinenti la sfera familiare diventano il maggior casus belli. “I rapporti di contiguità e solidarietà” fra il tre volte primo cittadino e i coniugi Bianco-Petrone sarebbero stato “provati” (si badi bene all’uso del condizionale, in una sentenza di condanna in Appello: che dire?) dall’offerta fatta dai suindicati coniugi di offrire la festa di Laurea a mia figlia. Dove sono le prove? Le tengono chiuse e segretate? Se ci sono perché non mi hanno processato e condannato per corruzione? Ma quando le chiacchiere non bastano, quando non basta una carriola per buttare il fango si ricorre ad un Tir: hanno provato a guidarlo, ma non avevano la patente!

La chicca sulla torta è l’annotazione musicale circa il “crescendo rossiniano” di intimidazioni che avrebbero condotto alla resa del responsabile dell’ufficio urbanistico: chissà se nelle orecchie dell’estensore della sentenza risuonavano, nella fattispecie, le note del Barbiere di Siviglia o quelle del Guglielmo Tell. Personalmente preferisco le seconde per l’ammirazione che ho per il leggendario protagonista che guidò la liberazione del suo popolo dalla dominazione austriaca e lo condusse alla libertà. Presuntuosamente mi sento molto simile a Guglielmo Tell per avere aiutato la mia gente di Tricarico, che per tre volte mi ha voluto sindaco, a non chinare la testa ai soprusi e alle minacce dei vari potentati lobbistici.

Anche al giornalista è sfuggito il passaggio che sarebbe dovuto essere quello determinante, ovvero il reato di concussione consumata per il quale mi è stata inflitta la pena maggiore. La distrazione del giornalista è conseguenza della superficialità con cui la sentenza di Appello affronta questo passaggio (per la cronaca trattasi dell’ormai più che famoso taglio del bosco, o meglio delle 120 piante ancora lì saldamente radicate nel bosco in località Fonti): ogni mente normale si sarebbe aspettata che questo fosse il cavallo di battaglia per inchiodare il pubblico ufficiale tre volte sindaco alla sua malvagia illecita amorale inquietante condotta. E invece, solo poche righe, quasi nulla. Meglio perdersi in elucubrazioni sul “fogliettino”, sulla festa di laurea, sulla raccomandazione per un giovane neolaureata e sulle altre baggianate varie.

Si rafforza sempre più in me la convinzione che nella pseudo-repubblica della Basilicata e nel più ancora pseudo sistema giudiziario lucano, io devo scontare a vita la colpa di avere portato a Catanzaro, sotto processo, i Giudici del Tribunale di Matera: ne ho subito le conseguenze più inimmaginabili. Una è emblematica: nella fase di udienza preliminare per il rinvio a giudizio, la dott.ssa Gargiulo M. Rosaria (quella che mi ha fatto arrestare quando non ero più sindaco di Tricarico da ben 7 mesi per fatti, se mai di fatti “delittuosi” si fosse trattato, avvenuti addirittura 18 mesi prima dell’avvio delle indagini) ha continuato a svolgere la sua funzione di Pubblico Ministero, pur essendo al contempo ella stessa indagata a Catanzaro a seguito della mia denuncia sulla anomalia del decreto autorizzatorio alle intercettazioni telefoniche e ambientali, decreto vistosamente redatto a quattro mani e con l’aggiunta postuma di un dispositivo sicuramente non ascrivibile al GIP, per non dire dell’anoressica forma dell’intero decreto autorizzatorio datato 10/01/2000.

Al Ministro della Giustizia, cui mi riservo di inviare copia delle sentenze di primo e di secondo grado, chiedo se non sia il caso di porre sotto ispezione non solo la Corte d’Appello di Potenza, ma l’intero funzionamento giudiziario in questo distretto di Basilicata, che sempre più si rivela autoreferenziale per i magistrati, con inchieste roboanti e quanto mai dispendiose, su vicende che, all’esito conclusivo, il 90% delle volte si rivelano aria fritta; e non faccio esempi per rispetto alle persone che, come me, hanno subito questo calvario.

E poiché io sono un uomo delle Istituzioni e le rispetto, ma non mi asservisco ad esse, attendo il giudizio della Suprema Corte, dove questa volta l’imputato non sono io ma la sentenza della Corte d’Appello di Potenza: dovesse essere anche questo terzo grado sfavorevole nei miei confronti, ebbene il giudizio di una onesta, libera, democratica e repubblicana comunità di cittadini, che per tre volte mi elegge sindaco, la collaborazione leale e costruttiva con gli impiegati comunali tutti, dal messo ai dirigenti, il lavoro quotidiano gomito a gomito con il “giovane responsabile dell’ufficio urbanistico”, mi ripagherà per tutta la vita di qualsivoglia sentenza umana. Non smetterò mai, comunque vadano i fatti, di lottare affinché anche in Basilicata – fintanto che questa Regione esisterà ancora! – si faccia definitivamente chiarezza sulle motivazioni, le trame celate, i progetti subdoli, che in quest’ultimo decennio e qualcosa in più hanno messo all’indice la mia persona e la mia attività politica, riconosciuta come valida e votata al soddisfacimento del bene pubblico, da tutti, anche da ragguardevoli esponenti del mondo giudiziario lucano, dallo stesso GIP di Matera, dott. Onorati, che nella convalida del provvedimento di custodia cautelare ai domiciliari scriveva che il mio operato era motivato “non per fini di lucro ma per spasmodica sete di potere”, fino al dott. Colella, PM nel processo di primo grado (dove ho riportato una condanna a 5 anni e 8 mesi) il quale pubblicamente, nei corridoi del Palazzo di Giustizia di Potenza, mi salutava dicendomi testualmente: «Non esiste un politico più onesto del prof. Antonio Melfi.»

Per inciso: mi attendo che qualcuno spieghi, non a me che non ho alcun interesse in tal senso, ma alla gente di Tricarico e di Basilicata, quale sarebbe stato il complotto contro il tal professionista “archistar”, perché mai ed a chi mai il cosiddetto archistar faceva paura, perché il curriculum dell’archistar avrebbe dovuto indurre a sbaragliare tutti gi altri, per quale legge dello Stato Italiano devono lavorare sempre e solo i soliti della nomenklatura: se questo vale nella “repubblica” di Matera e di Basilicata, non vale assolutamente nella Città di Tricarico, che è aperta a tutti e non si regge sul privilegio, perlomeno fin che il tre volte primo cittadino continuerà a fare politica, nella repubblica di Tricarico e non solo! Il che significa finché vivrò.

Prof. Antonio Melfi – Sindaco sospeso della Città di Tricarico

 

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