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Perché Potenza e Matera sono ancora distanti…

In un recente mio intervento sulla questione che afferisce al completamento ferroviario della tratta Ferrandina – Matera, pronunciandomi a favore, ebbi a sostenere che l’ultimazione di questa opera avrebbe senz’altro accorciato le distanze – non solo naturalmente in termini geografici – dei due capoluoghi di Potenza-Matera, nell’ambito di un rinnovato processo unitario di valorizzazione e di crescita socio-economica dell’intero territorio regionale. Ero e, ancora di più, ne sono fermamente convinto, poiché questo inesorabile processo di riconciliazione sociale e territoriale, naufragato miseramente nel passato, nonostante le più avvedute visioni moderne sui modelli di sviluppo, all’attualità rischia di incepparsi nuovamente, annullando gli effetti benefici, che da una ghiotta opportunità correlata all’evento Matera Capitale Europea della Cultura 2019, ne possono derivare.

Detto ciò, purtroppo i focolari mai del tutto spenti che alimentano – tuttora – i deleteri campanilismi di fazioni si sono riaccesi a seguito delle polemiche sul Capodanno della rai 2017 a Potenza, a cui hanno fatto da contro altare le contestazioni ad opera della comunità materana. Siamo nuovamente cascati nella trappola tipicamente di un becero e anacronistico provincialismo di bassa lega. A tal proposito voglio esprimere un mio modesto parere al riguardo. In linea di principio e comunque con le giuste e corrette modalità di comunicazioni – e forse anche di condivisione – il tema si sarebbe potuto gestire con più sapiente sagacia, non trascurando naturalmente l’ipotesi che per lo stesso evento fosse stata individuata una altra location, compreso il capoluogo di Regione. Per ogni scelta possibile, è evidente la necessità di verifica in termini di efficacia tra risultati attesi e risorse impiegate, in ragione dell’apprezzamento dal punto di vista del rafforzamento del brand Basilicata in vista di Matera CEC 2019. E’, altresì, legittimo immaginare che altre aree interessanti, colme di giacimenti culturali, storico-ambientali e, vieppiù a forte valenza turistica (quali Maratea o del Metapontino, di Venosa ovvero del Vulture Melfese), avrebbero potuto “competere” e non si esclude che si candidino per gli anni a venire.  Per il capodanno 2017 la scelta è stata fatta, abbassiamo i toni della polemica e facciamo più attenzione per il futuro.

Vorrei soffermarmi su altro argomento che monopolizza il dibattito.  In questi giorni si assiste ad una feroce diatriba anche in ordine al ruolo di Potenza, in quanto città Regione che catalizza la moltitudine dei servizi in una visione centralistica, giudicata – da più parti – poca incline a sostenere le richieste di presenza e/o potenziamento di investimenti e presidi istituzionali da collocare in altri territori (si pensi alla Sanità, all’Università, alle Infrastrutture). La rappresentazione realistica, peraltro sostenuta da autorevoli esponenti del mondo politico e civile , è che l’economia può sostenersi e risalire la china solo abbandonando il vecchio modello del “monocentrismo”, convertendosi invece al “policentrismo” laddove tutte le realtà presenti possano sviluppare a pieno sulla base della “consegna” storica ai  territori le distinte vocazioni,  creando un armonico sistema di sinergie, queste si, saggiamente coordinate dal più alto livello esponenziale istituzionale (Regione) a cui è assegnata la funzione strategica delle politiche di  sviluppo –  e, io aggiungerei – di  “connessione” – territoriale di una comunità.  Le recenti statistiche divulgate sono inclementi e raccontano un spaccato economico regionale abbastanza in sofferenza. Solo un diverso “modus operandi” potrebbe mitigare gli effetti del drammatico decremento demografico, dello spopolamento accompagnato dalla sempre più incalzante desertificazione di attività economiche e commerciali, dell’emigrazione intellettuale di cui soffre la regione tutta e, più drammaticamente Potenza.

La battaglia si vince insieme unendo le forze, valorizzando le ricchezze dei territori in una visione di sussidiarietà e complementarietà virtuosa. E allora basta con questa guerra tra poveri, in cui la tentazione a contendersi “un posto al sole”, che da una parte,rivendica una sorta di ruolo egemonico e, dall’altra esige il riconoscimento nazionale e/o internazionale dell’investitura, va sconfitta. Invertiamo la tendenza e scopriamo un’altra faccia del nostro impegno a tutti i livelli, soprattutto del ceto politico a cui è consegnata la responsabilità d’azione e su cui pende il giudizio di parte della storia di questa nostra regione. Abiurino, quindi, tutti quelli che a vario titolo alimentano la cultura del disfattismo, delle divisione e della contrapposizione in una specie di rievocazione alle contee dai confini angusti, desolati e desolanti e, persino distruttivi. Perché per costruire un nuovo futuro di coesione che esalti la radice valoriale ed identitaria di questa nostra piccola grande regione, c’è bisogno di un lavoro paziente, continuo e deciso, il cui seme dell’unità si identifica nella stessa idea di popolo; popolo che ha già assai sofferto nel passato, che intravede all’orizzonte il sogno di un riscatto diffuso e meritato. Non disperdiamo questo patrimonio ideale e rafforziamo i presidi di una reale emancipazione moderna ed epocale per il nostro territorio, non più facilmente scalfibile anche in presenza di insignificanti e ingiustificabili “post “o messaggi di rete –  che rischiano di provocare un colpevole disorientamento annullando in un battibaleno l’azione di pacificazione tanto faticosa e altrettanto attesa.

 

                                                                                                                                              Il Presidente

                                                                                                                                 Dott. Francesco De Giacomo

 

 

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