BasilicataBasilicataCulturaPrimo_PianoTurismo

Al MIG la più bella mostra dell’estate lucana

Sabato 18 luglio 2015, alle ore 18.30, in Castronuovo Sant’Andrea, nelle sale del MIG. Museo Internazionale della Grafica – Biblioteca Comunale “Alessandro Appella” – Atelier “Guido Strazza”, si inaugura la mostra dedicata aLuigi Bartolini (Cupramontana, 8 febbraio 1892 – Roma, 16 maggio 1963) che continua il lavoro di informazione iniziato il 20 agosto 2011 con la storia della grafica europea e proseguito con le personali di Mirò, Degas, Renoir, Bonnard, Matisse, Dufy, Picasso, Calder, Ben Shann, Secessione di Berlino, Pechstein, Zadkine, Bernard, Marcoussis e Henri Goetz, Del Pezzo e Mascherini accompagnati, rispettivamente, dalla mostra di Renoir in poi, dalla presenza in controcanto di un artista italiano: Gentilini, Strazza, Accardi, Ciarrocchi, Consagra, Melotti, Maccari, Bucci, Perilli e Raphael.
Luigi Bartolini è considerato, insieme a Giorgio Morandi e Giuseppe Viviani, tra i maggiori incisori italiani del Novecento. La sua complessa personalità, che non si presta ad essere racchiusa in un rapido profilo, è intrisa di elementi vari e differenti. Lui stesso amava definirsi uomo libero, scollegato da qualsiasi movimento artistico e letterario e, a questo proposito, diceva “i movimenti artistici e letterari sono stati, sempre, artificiosi, inutili e dannosi. Anche i massimi. Che cos’è il movimento? È un gregge letterario e artistico che si muove lasciandosi guidare da un faccendiere”. Bartolini ha sempre coltivato molteplici forme d’arte ed è impensabile distinguere il pittore dal disegnatore, l’incisore dal poeta, il critico dal narratore; è stato un insieme omogeneo di fattori, che ne hanno fatto il più completo e raffinato artista del Novecento italiano.
Nel Bartolini incisore (50 le opere presenti nella mostra, oltre i libri d’artista editi da Bucciarelli, per le sue Poesie e la Nencia di Barberino di Lorenzo de’ Medici), la perizia tecnica passa sempre in secondo piano, in quanto le sue incisioni svelano sopra ogni cosa il libero, mai simile, giuoco dei chiaroscuri, i segni decisamente nervosi acquistano un valore puramente poetico (vedi La finestra del solitario, 1925, Spina di pesce, 1929, Scarabeo ercole, 1934). Il suo mondo non aderisce a scelte ragionate ma è intriso di sensazioni ed intuizioni fulminee, di rapporti istintivi con la natura e la sua rapidità di gesto è sinonimo di sintesi espressiva e principalmente di poesia (vedi Storia del martin pescatore, 1935, Conchiglie tropicali, 1927, La fragile conchiglia, 1936). Attraverso tutta la sua opera, sia scritta (tra i tanti libri, ricordiamo Polemiche, Meccanico gigante, L’orso, Signora malata di cuore, Vita di Anna Stickler, Il fallimento della pittura, Il mezzano Alipio, Il mazzetto, Il Polemico, Pianete) che incisa, è facile comprendere in che modo amasse la natura, un amore profondo da perfetto conoscitore del mondo animale e vegetale (vedi Le violette,1951). Attratto sempre dalle cose più umili, è stato in grado di cogliere attraverso insetti, conchiglie, pesci e piccoli uccelli quelle vibrazioni poetiche che testimoniano gran parte delle sue incisioni, regalandoci sottili alternanze di segni e poesia. Lui stesso ci da un quadro preciso della sua arte incisoria “già nel Settecento, gli incisori copisti riproducevano, con eleganza pari a quella del Morandi, quadri o disegni d’altri pittori. Li riproducevano con l’elegante tratto incrociato, dall’anonimo segno; mentre i segni delle mie acqueforti sono sismografici! Non sono, come ha detto il saputello parmigiano affrettate annotazioni […) Si tratta, anzi, di deformazioni liriche suggerite dalla mia estrosità poetica”. Ed ancora: “io ho combattuto sul Carso e sul Piave: mi sembra che costi più un’acquaforte che una battaglia: ossia che sia più tempestoso incidere una buona acquaforte, che partecipare a un’azione di guerra […] Sfido tutti i sedentari della pittura a fare come me: correre giorni intieri forsennatamente dietro a un sogno che si o no al terzo giorno riesco a ritrovare e a fermare sulla lastra mediante luci che sembrano tremolii guizzi di un sismografo: che sembrano un linguaggio telegrafico ma nel quale gli amatori sanno che non è discaro mettersi a leggere”. Si tratta forse di una leggenda quando si dice che Bartolini incidesse su fondi di scatole di pelati o su lamine di vecchi scaldabagni; molte sono le sue lastre di rame e zinco, ma vero è che si possono trovare lastre retroincise e tantissime prove uniche determinate da successivi interventi diretti sulla lastra. Le sue stampe non presentano mai o quasi mai il fondo completamente nitido, lasciano affiorare precedenti interventi che contribuiscono ad alimentare questo senso poetico che pervade tutta la sua produzione grafica. Amava usare la puntasecca non tanto come tecnica a sé, ma graffiava la lastra per ottenere effetti imprevisti su prove già stampate. Questo continuo rielaborare, rivedere, correggere, intervenire su incisioni già concluse lo ha accompagnato per tutta la vita, ed è proprio da questo atteggiamento che si possono trarre gli elementi per inquadrare la figura bartoliniana: l’uomo, l’artista, lo scrittore.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *