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Al Musma, mostra-ricordo di Antonio Sanfilippo

Sabato 28 gennaio 2012 alle ore 18.00, il MUSMA inaugura la seconda mostra della stagione espositiva 2011 – 2012 con il “RICORDO DI SANFILIPPO. Sculture, dipinti, disegni, progetti, dal 1944 al 1979”. L’esposizione, allestita nelle “Sale della Caccia” e nella “Biblioteca “Vanni Scheiwiller”, attraverso 80 opere, delle quali 34 inedite, intende far luce sull’originalità dell’artista siciliano, basata su un sistema segnico-spaziale tanto rigoroso quanto libero, costruito sulla ricerca e gli sviluppi di un segno che dal 1944 al 1979 copre l’intera parabola di un’attività resa insostituibile testimonianza del dibattito artistico nazionale e dei temi del linguaggio internazionale più legato alla contemporaneità. Aperta al pubblico sino al 18 marzo 2012, la mostra, a cura di Giuseppe Appella, rispecchia con coerenza l’orientamento delle esposizioni temporanee perseguito dal 1978 con le annuali “Grandi Mostre nei Sassi” e dal 2006 con le iniziative del MUSMA, indirizzate alla ricognizione di periodi e personalità dimenticate o sommerse dell’arte italiana ed internazionale del dopoguerra. Con Antonio Sanfilippo, viene ricostruito un tassello determinante di quella stagione ancora poco indagata ma così fervida di stimoli e impulsi che si raccoglie intorno alla generazione di artisti operanti in Italia, negli anni Cinquanta e Sessanta. Se, infatti, il carattere schivo e solitario ha senza dubbio penalizzato Sanfilippo, e la scarsa propensione a esporre negli ultimi anni della sua vita ha contribuito a prolungare una sorta di silenzio attorno al suo lavoro, l’artista siciliano non fu assente agli appuntamenti che la sua epoca riservò allo sviluppo culturale, collocandosi in primo piano fra i più attenti protagonisti delle vicende della sua generazione.

Partendo da un gruppo di tempere e pastelli dei primi anni Quaranta, la mostra illustra l’iniziale approccio geometrico postcubista di Sanfilippo, il transito nello studio di Guttuso e il fecondo rapporto con Severini, per poi documentare la ricerca volta a risolvere il problema della “nuova pittura”. Ecco, allora, il passaggio obbligatorio all’astrazione, vissuto e sperimentato prima di tutto con Carla Accardi, che diventerà sua moglie nel 1949, e poi con Pietro Consagra, Achille Perilli, Pietro Dorazio e Giulio Turcato, artisti che nel 1947 a Roma costituiscono il gruppo Forma 1. Le tempere della fine degli anni Quaranta, fanno emergere come Sanfilippo, condividendo con il gruppo Forma 1 il dissenso verso gli assiomi del realismo e del populismo che caratterizzavano la produzione artistica italiana di quegli anni, abbia rimesso in discussione il concetto di immagine, partecipando al rinnovamento rivoluzionario di matrice socialista attraverso l’esigenza di una ricerca che inserisse la pittura italiana nel filone della grande arte europea. Arte e società si coniugano nella validità di un’esperienza condotta sui rapporti puri delle forme e sulla costruzione di uno spazio sostanzialmente bidimensionale: orientamenti rafforzati dal viaggio a Parigi, a contatto diretto con tutta la cultura artistica più avanzata d’Europa, che il gruppo compie nel 1946 e che per Sanfilippo è la scelta definitiva di una sperimentazione fondata sul segno, divenuto negli anni successivi linguaggio personalissimo, autonomo e maturo.

Guardando le ricerche condotte in Francia da Wols e in America da Pollock, la scoperta del segno e la relazione lirica, non estetica, fra segni e spazio sono documentate dalle tempere degli anni Cinquanta e Sessanta: nitide sintassi visive, percorsi possibili della mente concentrati o dilatati nello spazio, tracce di un’astrazione mai gestuale che Sanfilippo affida a un colore timbrico e puro, a un sistema che pone in relazione accumuli di segni più o meno uguali, concatenati in costruzioni spaziali corpose, dense, sciolte o addensate sugli intervalli di silenzio della tela bianca: Mi servo quasi esclusivamente di segni grafici posti sulla superficie con molta immediatezza e rapidità – sostiene l’artista – e tali da formare un insieme non arbitrario o casuale ma conseguente ad un determinato ragionamento formale. La forma viene così determinata dal complesso variamente raggruppato dei segni che nei miei quadri hanno una grande variazione.

Durante gli anni Sessanta e sino agli albori degli anni Ottanta, Sanfilippo affina le proprie tracce spostando lentamente la propria attenzione dal segno elementare, bacilliforme, stenografico, a un segno che si avvolge e chiude su se stesso, in un ritmo che gli consente il pieno possesso dell’immagine. Le frequenti interruzioni di un lavoro talvolta tentato e lasciato a metà, o soltanto abbozzato, a causa di una crisi profonda che lo porta alla reclusione in studio e alla distruzione di molte opere, non traspaiono nelle ricerche plastiche degli anni sessanta, qui rappresentate dalle opere in legno della Collezione del MUSMA (le sei scatole, il vassoio verde, i rilievi, i segni ritagliati nel compensato) cui va ad aggiungersi la donazione che Antonella Sanfilippo ha voluto fare in occasione di questa mostra. Una crisi superata solo poco prima della sua scomparsa, quando l’artista si avvicina all’incisione e in una stamperia romana, mediante il suggerimento proveniente da un segno non più sovrapposto, divenuto il prolungamento fisico della mano, trasferisce, in un coinvolgimento totale, dialetticamente formulato nei rapporti distributivi, i risultati di un vertiginoso processo espressivo, di lì a poco pronto a scandire lo spazio per annullarsi nel vuoto totale, non prima di essere tornato a proporre, con tonalità atmosferiche e linfe organiche, una struttura formale costruita – l’isola – chiusa e compatta, fresca e trasparente, travolgente e cosmica, con una fitta maglia di luci che avvolgono una materia che respira, che vive, per l’ultima volta, in due acqueforti simili a una sindone.

 

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