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Castellaneta al via i festeggiamenti per Sant’Anna

Nella Parrocchia San Domenico di Castellaneta domenica 24 luglio 2011 iniziano i festeggiamenti di Sant’Anna, madre della Beata Maria, protettrice delle partorienti, patrona dei vedovi e dei nonni, con le messe alle ore 8,30 e alle ore 20,00 per il 70° anniversario della morte di don Martino Loforese, rettore e benefattore della chiesa San Domenico dal 1912 al 1941.

Martedi 26 luglio, in occasione della festa liturgica, sono in programma, alle ore 8,30 la messa in San Domenico con benedizione dei nonni e dei vedovi, alle ore 11,30 la messa nel reparto di ostetricia dell’ospedale e la sera in San Domenico il Santp Rosario alle ore 19,30 e la celebrazione eucaristica alle ore 20,00, con preghiera della mamma in attesa, benedizione alle partorienti e ai bambini di pochi mesi con la presenza di marito e moglie, consegna dell’ abitino e della candela della santa; dalle ore 21,00 in piazza San Domenico c’è l’esibizione  della scuola di ballo Obsession Dance, con degustazione di piatti tipici a cura dei Cavalieri di San Domenico.

“La festa dei santi Gioacchino e Anna, genitori di Maria madre di Gesù, rimanda a tanti valori legati alla famiglia, ai figli, al ruolo dei genitori, al matrimonio – afferma il parroco don Franco Alfarano – Valori tutti oggi più che mai sempre in difficoltà: crisi matrimoniali, difficoltà nell’educare i figli, rapporti conflittuali genitori-figli. Quante situazioni pietose e preoccupanti presenti anche nella nostra cittadina: pochi matrimoni (rispetto a qualche decennio fa) e alcuni che non vanno a buon fine. Ma dietro ogni matrimonio che è in crisi o che fallisce c’è sempre un percorso di grande sofferenza; quando una persona arriva alla separazione e al divorzio, vi arriva sempre logorata da dolore e da tentativi falliti. E di fronte alla sofferenza non dobbiamo mai metterci in una posizione di giudizio ma anzitutto di ascolto e di condivisione. Ogni situazione è complessa e non può essere capita “al volo”: chi ci sta davanti ha bisogno di ascolto e di comprensione prima ancora che di consigli. Chi vive una situazione di difficoltà o di fallimento matrimoniale ha diritto di vedere in colui a cui si confida (sacerdote o laico) non tanto il difensore di un ordine morale costituito, ma un padre o un fratello che cerca di capire la situazione e perciò si sforza di leggere dall’interno il problema perché desidera il vero bene della persona. È necessario, pertanto, accostarsi a tutte le situazioni di sofferenza coniugale o familiare “in punta di piedi”: con una grande disponibilità ad ascoltare, con il desiderio di capire e con il desiderio di essere solidali. Ogni situazione non va presa genericamente come “un caso” ma va letta come “la storia di una persona”. Nessuno può essere dispensato dalla fatica del discernimento, dalla responsabilità verso la verità del Vangelo e verso le singole persone. Carità nella verità. Il principio ispiratore generale affermato dal Direttorio è quello della “carità nella verità”: come Gesù «ha sempre difeso e proposto, senza alcun compromesso, la verità e la perfezione morale, mostrandosi nello stesso tempo accogliente e misericordioso verso i peccatori», così la Chiesa deve possedere e sviluppare un unico e indivisibile amore alla verità e all’uomo. “Carità” dice attenzione alla persona: “verità” dice attenzione al valore e al significato di una scelta fondamentale che quella persona ha compiuto consapevolmente. L’indissolubilità cosa comporta la fedeltà alla “verità”? La Chiesa sa che il matrimonio è un sacramento che ha ricevuto per amministrarlo per il bene degli sposi e della comunità, e sa che «non è lecito all’uomo dividere ciò che Dio ha unito». L’indissolubilità è una prerogativa fondamentale ed essenziale dell’amore umano a prescindere da una sua comprensione di fede; due innamorati non tollerano che la loro condizione possa essere temporanea e corra il rischio di finire. Il vero amore contiene in sé stesso l’anelito e l’esigenza della definitività. Anche oggi quando i giovani si innamorano, sentono dentro di loro che l’amore deve essere “per sempre”. Mi ha fatto pensare l’episodio, affiorato alla cronaca più volte alcuni mesi fa, dei lucchetti del Ponte Milvio a Roma. La tradizione dei romani suggerisce agli innamorati di acquistare un lucchetto con due piccole chiavi e di andare sul Ponte Milvio, dove attorno a un lampadario è avvolta una lunga catena; aprono il lucchetto, lo agganciano a un anello della catena e lo chiudono, poi, girando le spalle al Tevere, si baciano affettuosamente e gettano dietro di sé le due chiavi nel fiume. È un gesto altamente simbolico che esprime la convinzione che quell’amore sarà eterno, che nulla e nessuno potrà comprometterlo o spezzarlo. Ma è anche esperienza comune e diffusa che l’amore umano, che nasce con l’esigenza e l’impegno di essere “per sempre”, finisce spesso con l’attenuarsi fino al punto di morire. È frequente cioè che un amore umano, che vorrebbe essere indissolubile, in realtà sia soggetto di fatto al fallimento. L’indissolubilità oggi è comprensibile pienamente solo alla luce della fede e di una interpretazione sacramentale della propria vicenda di amore. Diventare segno sacramentale dell’amore di Dio significa accettare la logica di Dio, che non si ferma nemmeno di fronte all’infedeltà dell’uomo: «Dio rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso». Anche quando, dopo aver conosciuto l’amore di Dio, l’uomo si allontana da lui per cercare altrove la realizzazione della propria felicità, Dio non gli volta le spalle ma continua a volergli bene: la sua fedeltà è la roccia sulla quale è possibile in qualunque momento ricostruire l’amore. Sposarsi “in Cristo e nella Chiesa” non significa semplicemente scambiarsi davanti a Dio una promessa umana di amore per chiedere il suo aiuto e la sua protezione; significa lasciarsi insieme avvolgere dall’amore e dalla fedeltà di Dio fino al punto da impegnarsi a vivere l’amore, con l’aiuto della Grazia perché non è possibile con le sole risorse umane, con la logica della fedeltà di Dio. Vivere l’amore “in Cristo e nella Chiesa” significa impegnarsi a essere segno sacramentale dell’amore con cui Cristo ama la sua Chiesa, anche quando essa diventa una sposa infedele. Il matrimonio cristiano comporta perciò l’impegno a rimanere fedeli anche di fronte all’infedeltà. A questo punto è necessario chiedersi: quante persone che si sposano in chiesa sono consapevoli di questo impegno e hanno capito lo spirito della indissolubilità? Spesso infatti l’indissolubilità viene accettata come legge della Chiesa, ma senza comprenderne la motivazione profonda. Da una parte viene da pensare che forse molti matrimoni nascono già nulli in sé stessi perché non c’è la comprensione e la scelta di questo connotato fondamentale dell’amore cristiano. Dall’altra dobbiamo sentirci impegnati a una catechesi più esplicita e più motivante verso i fidanzati che si preparano a celebrare il matrimonio cristiano. La preghiera sia sicura a tutti coloro che vivono ogni situazione del genere…preghiera, aiuto e mai giudizio”.

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