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Grano, nota di De Bonis

Ancora una volta vengono usate espressioni allettanti come ‘contratto di filiera’ e ‘Made in Italy’ per mascherare pratiche poco trasparenti, che penalizzano gli agricoltori e distorcono il mercato. Protagonista di questo gioco d’illusionismo è il settore del grano, fondamentale per l’Italia, dove però a dettare le regole del gioco è come sempre la grande industria. Per questo motivo ho predisposto un’interrogazione, che ha già superato il vaglio del sindacato ispettivo, per chiedere chiarimenti alla ministra Bellanova in merito al protocollo d’intesa firmato di recente con Barilla per la sottoscrizione di nuovi contratti di filiera. Poiché è un tema molto serio, che coinvolge migliaia di produttori, ho intenzione di andare fino in fondo e di investire, se del caso, anche la Commissione europea. Infatti, alla luce della recente sentenza del Tar Puglia, che ha annullato i listini dei prezzi della Borsa merci di Foggia, quei contratti risultano di fatto nulli. Il fatto grave è che il governo, nonostante fosse a conoscenza della sentenza del Tribunale amministrativo, non ha effettuato la sua preventiva attività di controllo, come richiesto dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato per evitare effetti distorsivi sulla concorrenza”. 

 

Lo ha dichiarato il senatore Saverio De Bonis nel commentare la sua interrogazione parlamentare, già accettata dal sindacato ispettivo, alla Ministra delle politiche agricole alimentari e forestali Teresa Bellanova in merito ai contratti di filiera del grano. L’interrogazione completa è disponibile al link: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/Sindisp/0/1141078/index.html.

 

“In ogni caso, le ragioni della perplessità non si fermano a questa leggerezza, per usare un eufemismo, che pure è grave: il governo italiano, infatti, avrebbe dovuto fare le opportune verifiche e scoprire che quei contratti sono ancorati a una Borsa merci i cui prezzi sono stati dichiarati nulli e in cui tra i membri della Commissione prezzi figura la stessa Barilla. Per inciso, questo tipo di contratti fissa prezzi minimi e massimi secondo una pratica che poco coincide con la libera concorrenza sancita dalle regole europee. Senza contare che sono diventati ormai, di fatto, contratti capestro in cui gli agricoltori hanno scarsissima voce in capitolo sul valore del loro prodotto, e che legano la redditività del grano al loro contenuto proteico. Questi contratti favoriscono dunque il Nord irriguo, dove più facilmente si raggiunge un più alto tenore proteico somministrando azoto, sfavorendo così le produzioni del Sud, più salubri, e il biologico. Ma perché pretendere contenuti proteici più alti? La giustificazione ufficiale è che servono a non far scuocere la pasta. La realtà è che fanno gioco all’industria di trasformazione perché accelerano il processo di essiccazione ad alte temperature, facendo così risparmiare sui costi di produzione. Insomma, i soldi dati dallo Stato attraverso i contratti di filiera giovano meno agli agricoltori e alla salute dei consumatori, e molto di più alle industrie e alla riduzione dei loro costi”.

 

“Il settore – si legge nell’interrogazione – ha bisogno di trasparenza nelle relazioni di mercato e non di contratti di filiera ‘capestro’ ancorati a listini nulli”. Una trasparenza che “solo l’istituzione della Commissione unica nazionale (CUN) può garantire”. 

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