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Investire nel Sud, la scommessa del futuro

In questo delicato momento storico e socio-economico per l’Italia, è fondamentale non perdere l’occasione del Recovery Fund per iniziare a colmare il divario tra Nord e Sud del nostro Paese. Questa è l’occasione di ripetere un nuovo miracolo economico. In Europa, a partire dal secondo dopoguerra, c’è stato un tentativo di recupero di vaste aree sottosviluppate all’interno della stessa nazione: nel Sud d’Italia a partire dal 1950 in poi. I numeri e gli investimenti: per il Sud d’Italia dall’avvio della Cassa del Mezzogiorno nel 1950 al 2008 (cioè fino all’inizio della crisi economica globale che ha chiuso definitivamente qualsiasi politica pubblica per il Sud, fondi europei di coesione a parte) sono stati investiti circa 340 miliardi di euro. L’Italia ha investito l’1% del PIL per tutto il periodo del cosiddetto “Intervento straordinario”, ma chiusa la Cassa del Mezzogiorno c’è stato un ulteriore calo. Il problema è tutt’altro che risolto, esistono infatti, purtroppo, ancora divari salariali e occupazionali, ma ora il divario è più che dimezzato. E il confronto con il Sud d’Italia? Prima della pandemia, cioè nel 2019, il Pil per abitante nel Mezzogiorno italiano è pari al 55% rispetto a quello del Centro-Nord. Il tasso di disoccupazione, è stato del 17,6% nel Sud. La disoccupazione giovanile è stata del 45,5% nel Sud. I soldi spesi nelle aree più arretrate non sono uno spreco, una perdita per lo Stato e per i territori più ricchi: colmare i divari economici è una operazione che si ripaga ampiamente, è un affare per tutti e non un sacrificio. Il periodo in cui il nostro Paese è cresciuto a tassi elevatissimi (1950/1980) corrisponde al periodo in cui decollava anche il Sud grazie agli investimenti della Cassa del Mezzogiorno. Ma il Mezzogiorno ha conosciuto anch’esso un suo periodo d’oro. Si è verificato tra il 1950 e il 1973 (il più alto tasso di crescita dal 1861 in poi). Nel 1973 il Pil pro capite del Sud arrivò al 60,5 di quello del Centro-Nord (quasi otto punti in più rispetto al 1950, all’avvio della Cassa del Mezzogiorno, quando era fermo al 52,9) un risultato, purtroppo, mai più raggiunto negli anni successivi. I progetti di investimenti nella prima fase erano rigorosi, i tecnici di alto livello. Poi subentrò il clientelismo, la crisi petrolifera e a poco a poco si lasciò perdere tutto. E adesso? Cospicue risorse pubbliche arriveranno dall’Europa, come arrivarono nel secondo dopoguerra dai prestiti americani e internazionali (il cosiddetto piano Marshall). Fu grazie a quei prestiti che si avviò una politica straordinaria per il Mezzogiorno che diede una svolta all’economia italiana. Tra l’altro investire al Sud è conveniente per l’intera Nazione. La Svimez ha calcolato che per ogni euro investito nel Sud, 40 centesimi tornano all’economia del Centro-Nord in termini di beni e servizi per le imprese settentrionali; al contrario, per ogni euro investito nel settentrione solo 6 centesimi ritornano nel meridione. Draghi ha davanti a sé la possibilità di ripetere un nuovo miracolo economico. La nazione ha bisogno di una strategia che inglobi il suo Sud. D’altra parte le risorse europee sono tante proprio
perché assegnate sulla base delle difficoltà economiche delle regioni meridionali. L’Italia non ce la farà a riprendersi riattivando un solo motore produttivo; ha la possibilità di accenderne un secondo che renderà più veloce ed efficiente il primo. Far crescere il Sud è un affare per l’economia italiana. Speriamo che questa volta l’occasione venga colta al volo.
                                                                                                                                                                               Lidia Lavecchia

Un pensiero su “Investire nel Sud, la scommessa del futuro

  • Nicola Locuratolo

    Concordo pienamente con quanto esposto molto lucidamente, ma trovo del tutto generico l’invito ad investire al Sud e non piuttosto ad individuare l’intervento trainante lo sviluppo della intera area Sud/Italia a partire dall’Abruzzo per finire con la “continentalizzazione” della Sicilia.
    L’unica proposta “europea” che coinvolge tutto il Sud/Italia è la linea di Alta Capacità Milano-Palermo (via Matera): 1) Recupera, con il raddoppio del binario Termoli-Lesina l’anacronistico “binario unico” rimasto sulla linea costiera adriatica Milano-Lecce ;
    2) Recupera una linea “storica” pugliese con oltre 500.000 abitanti ancora isolati
    3) Recupera la Capitale Europea della Cultura 2019 ancora “vergine” dalle FF.SS;
    4) Recupera tutta la costa ionica calabrese (una vergogna nazionale) per il popolo;
    5) Recupera la Sicilia tutta realizzando la continuità fisica con il continente e fino a Palermo con il Ten-t10, il meridiano ferroviario d’Europa. E l’Europa è servita.

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