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La risposta di “Genitori Tarantini” al commendatore Giuliano Cazzola

Commendatore Giuliano Cazzola,
abbiamo letto il suo articolo apparso oggi su “IlSussudiario.net” intitolato “ILVA/Le ragioni di sindacati e ArcelorMittal inchiodano Di Maio”.
Lei conclude il suo insopportabile pezzo giornalistico con una frase che fa rabbrividire.
“Ma muoiono molti più bambini di fame, di malattie e di stenti in quei paesi in cui non sanno che cosa sia una ciminiera.”
Consideriamo l’attuale distribuzione delle ricchezze contraria all’equilibrio imposto dalla vera giustizia, ma ci preme portare alla sua attenzione che anche i bambini che muoiono a Taranto, dopo essersi ammalati e aver di conseguenza sofferto, non sanno cosa sia una ciminiera; molti muoiono senza conoscere neppure il significato della parola lavoro. In questo caso, però, sappiamo che sono in buona compagnia: la sua, visto che lei sembra volerci fare intendere che quelli offerti dall’industria dell’acciaio siano posti di lavoro. No, commendatore, il cittadino italiano ha diritto ad un posto di lavoro dignitoso, fatto in salute, in sicurezza, in un ambiente salubre. Esattamente l’opposto di quello che la produzione di acciaio offre, in Italia. Cittadini che accettano il rischio infortunio, la continua minaccia di malattie professionali che troppo spesso conducono a morte prematura, le catastrofiche conseguenze a livello ambientale e di salute e vita umane, sono più vicini al concetto di schiavitù che a quello di lavoro. Un’immagine che ci catapulta, attraverso i millenni, agli schiavi costretti a morire durante la costruzione delle piramidi che avrebbero magnificato nei tempi i faraoni. Con una piccola differenza: nell’antico Egitto morivano solo gli schiavi addetti alla costruzione, mentre nella progredita Italia dei nostri tempi muoiono gli schiavi, i loro parenti, i loro figli e anche chi con l’acciaio non ha niente da spartire, disoccupati e loro figli compresi. Pensare che si possa considerare lavoro qualcosa che va contro la Costituzione italiana, è davvero inaccettabile.
E’, altresì, inaccettabile l’idea che un diritto fondamentale, la salute, possa essere calpestato a tutto vantaggio della ricchezza nazionale. A tal proposito, citiamo l’articolo 32 della Costituzione italiana, il libro che dovrebbe essere considerato la strada maestra della nostra democrazia, del nostro vivere tra pari: “La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività…”. La Repubblica “tutela”, quindi “protegge”, “difende”, “garantisce”, commendatore. Si direbbe che più che un diritto, questo articolo si imponga come un dovere dello Stato italiano nei riguardi dei suoi cittadini.
Purtroppo, spesso dimentichiamo che uno dei pregi fondamentali della Costituzione italiana è quello di essere stata scritta in italiano; dimentichiamo che ogni parola è stata soppesata prima di essere scritta di seguito alla precedente. E’ un vizietto che ci porta di sovente fuori strada, al punto che si cerca di trovare un equilibrio tra due diritti (in questo caso, tra diritto alla salute e diritto al lavoro). Riteniamo che la logica tenda ad escludere tali equilibri, quando uno dei diritti è “fondamentale” e l’altro è un semplice diritto. Sarebbe come mettere sui piatti di una bilancia da una parte un chilo di diamanti e dall’altra un chilo di letame, giustificando l’equilibrio dei piatti con il peso e non con il valore.
Sì, lei dice bene. Produrre acciaio non è come coltivare garofani, ma la produzione dell’acciaio non deve distruggere le coltivazioni di garofani. Purtroppo, l’acciaio prodotto a Taranto ha azzerato troppe produzioni tradizionali, storiche del nostro territorio, ha portato alla definitiva mattanza degli ovini (con perdita di posti, questi sì, di lavoro), all’avvelenamento dei terreni (con divieto di pascolo per un raggio di 20 chilometri attorno all’insediamento industriale) e del mare (vero padre dei tarantini e fonte di sostentamento, oramai minata a fondo, per intere generazioni). La monocultura industriale imposta in un luogo di bellezza sublime ha prodotto disoccupazione, ha indotto i nostri giovani a lasciare la propria terra in cerca di un lavoro vero. Senza dimenticare malattie, morbilità e morte in un numero insopportabile, soprattutto per una nazione democratica.
Lei parla di Procure e lobbies ambientaliste (addirittura) come coloro che riescono a mettere in soggezione i sindacati. Possiamo anche essere d’accordo sull’enorme coda di paglia mostrata a più riprese da questi ultimi, ma non dobbiamo dimenticare che tra i compiti del sindacato c’è anche quello di tutelare la salute e la sicurezza sul posto di lavoro. Per quanto riguardale procure, queste sono state messe a tacere dai vari Governi impegnati nella gara a chi fa più decreti legge a favore dell’acciaio e dei suoi produttori. 
La preghiamo di non considerare la famiglia Riva un gruppo di santi. Non lo sono mai stati, soprattutto a Taranto. Allo stesso modo, non consideri verginelle coloro che stanno facendo porcate che li portano sotto processo in tutto il mondo: ArcelorMittal.
Vorremmo porle una semplice domanda, se ce lo concede, anche con riferimento all’articolo 41 della stessa Costituzione già in precedenza citata. Per quale ragione accettabile ciò che a Genova è stato chiuso (per evidenti e gravi problemi per la salute dei dipendenti e dei cittadini) a Taranto deve restare in funzione? Non le sembra, questa, una discriminazione inaccettabile?
Come sempre, il consiglio più semplice mai viene ascoltato, ma per noi vale davvero tanto.
Prima di prendere una penna in mano o apprestarsi a battere le dita su una tastiera, è sempre conveniente ricordare quanto valore abbiano le parole.
Lei ha voluto esagerare, con l’ultimo periodo del suo articolo. Sappiamo che per questo non proverà vergogna, avendo fatto della sua vita un continuo saltare da un partito all’altro. Non si preoccupi per questo: in politica, come lei ce ne sono tanti, purtroppo.

Associazione Genitori tarantini – Ets

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