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Pisticci ricorda la più grande tragedia della sua storia

Il 1600, per la storia di Pisticci, ha rappresentato un secolo di sventure, calamità, peste e carestie, ma la tragedia più grave fu senz’altro la spaventosa frana del 9 febbraio 1688, che provocò la morte di circa 350 persone ed un centinaio di feriti gravi. In quella triste notte di S. Apollonia, la parte più antica del paese si spaccò in due, a causa delle infiltrazioni di acqua di una vicina sorgente. “Accadde a nove del febbraio 1688 -riferisce una cronaca del tempo- ed il popolo posava nella quiete della notte, preceduta da una neve inaudita e spirava un orribile aquilone. Si vide verso le sette della notte smuoversi e crollarsi dalli fondamenti le case tutte”. Nella contrada della Terravecchia, il suolo si abbassò per oltre sessanta metri e molti furono ingoiati dalle voragini e sepolti dalle macerie, mentre non mancarono nel contempo gravi episodi di sciacallaggio. Il bilancio fu gravissimo: circa quattrocento persone persero la vita, secondo le testimonianze di notai e cronisti del tempo. Un ruolo di primo piano fu svolto dai frati del convento francescano e del Casale che soccorsero ed ospitarono nelle loro celle molte persone. Nella solerte gara di solidarietà, si distinse, tra gli altri, anche il vescovo di AngloTursina mons. Marco Matteo Cosentino, -della potente famiglia calabrese degli Ajeta e grande amico di Pisticci dove spesso era ospitato- che inviò viveri, indumenti e medicinali. Dopo la tragedia, i De Cardenas, feudatari di Pisticci, suggerirono il trasferimento del paese nei pressi dell’attuale località di Caporotondo, ma i pisticcesi non vollero abbandonare i loro luoghi nativi e si strinsero intorno alla loro Chiesa Madre, che, miracolosamente intatta dalla frana, si ergeva ancora maestosa e superba, quasi a voler testimoniare la continuità della storia e della vita. Tutti i resti della vittime furono inumati negli ampi ipogei della Chiesa Madre e solo dopo qualche anno, sgombrate tutte le macerie, venne avviata una lenta ma costante ricostruzione. Le prime abitazioni furono realizzate dalla famiglia Santissimo e subito dopo spuntarono, come per incanto, circa trecento bianche casette antisismiche a schiera, primo nucleo di quello che costituirà il rione Dirupo, tipico esempio di architettura spontanea contadina, oggi una tra le “100 Meraviglie d’Italia” nel catalogo predisposto dal Ministero dei Beni Ambientali. Pisticci commemora la tragedia di S. Apollonia sabato 9 febbraio con la celebrazione di una S. Messa, la deposizione di una corona al cippo cimiteriale e la sera nelle Chiesa Madre con un concerto ad requiem.

Giuseppe Coniglio

 

 

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