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Pisticci, Rocco Caramuscio: “Questa comunità soffre di solitudine”

Pisticci è una comunità sofferente. Convivono in essa forti contraddizioni che, se non vivessimo di speranza e tenacia, atterrerebbero qualsiasi volontà. La classe dirigente locale continua a far finta di non capire che le speranze ed il rilancio del nostro territorio passano necessariamente attraverso il dialogo e il confronto con la comunità. Così, costi quel che costi, da parte dei partiti si continua a far prevalere sul bene comune la politica dell’appartenenza. E invece desidereremmo, oltre ad essere necessario, una classe dirigente a fianco del popolo pisticcese, capace di combattere fino allo sfinimento per salvare l’ospedale, che non tentennasse un attimo nel ricercare soluzioni possibili che diano dignità e giustizia al territorio su tale questione e su tutte le altre che passano attraverso la lotta contro le scelte sciagurate del Governo nazionale e regionale.

Purtroppo ogni problema sollevato con il chiaro intento di dare un contributo alla sua soluzione, se non ignorato, viene fortemente contrastato dalla dirigenza locale impegnata com’è in esercizi di equilibrio oramai stucchevoli e di dannose conseguenze. La lotta quindi, perché di lotta si tratta, rimane confinata nelle mani di una volontà che invece di essere sostenuta viene ogni giorno minata alle fondamenta.

Anche oggi che  finalmente il popolo del metapontino dà segni di risveglio, oggi che  prendiamo coscienza che non possiamo continuare a rilasciare deleghe in bianco, che non possiamo più far decidere ad altri ciò che incide sul futuro di un’intera comunità,  ci guardiamo intorno e ci ritroviamo soli.

Eppure il buon esempio su come si difende un territorio da troppo tempo offeso, umiliato, spogliato di tutto, i nostri politici lo hanno avuto. Hanno osservato  il popolo sostituirsi ai propri rappresentanti contestando una classe dirigente inetta ed incapace. Ma continua a mancare la volontà da parte di chi ci governa di ascoltare il nostro grido di allarme, di venire incontro alle nostre istanze che riguardano la salute, la qualità della vita, la nostra stessa vita.

E si va oltre e questo è sinceramente inconcepibile: si taccia di antipolitica ogni azione, ogni sussulto di orgoglio che non provenga dai militanti di partito. E allora è antipolitica protestare contro la chiusura dell’Ospedale, è antipolitica sostituirsi a una classe dirigente assente, lo è se si fa informazione, se si manifesta pubblicamente la propria opinione e il proprio dissenso.

Se questo è il pensiero comune condiviso trasversalmente dai partiti, allora bisogna essere orgogliosi di fare antipolitica perché ciò significa stare dalla parte della gente, dalla parte di chi mette al primo posto i bisogni di questa comunità. Lasciamo volentieri l’esercizio della politica attuata per evidenziare il proprio senso di appartenenza, per fare piacere al tribuno di turno, ai frequentatori delle segreterie di partito dove si decide di tutto tranne che l’interesse comune.

Questa comunità soffre di solitudine. Nelle aspettative, nelle speranze, nella lotta per contrastare la spoliazione del territorio.

Dopo anni di facili promesse i dispensatori di sogni, sperando nella nostra rinnovata buona fede, agiscono imperterriti creando nuove verità (o nuove bugie), coscienti di quanto la realtà sia molto diversa.

Forse soffrono di troppo ottimismo riponendo fiducia in chi puntualmente ferisce e tradisce la nostra comunità, o solo dimostrano troppa sicurezza quando pensano che l’ingenuità del popolo possa durare in eterno.

“L’ottimismo è il profumo della vita?”; potrei anche essere d’accordo a patto che i rappresentanti dei partiti locali prendano coscienza dei terribili danni causati alle nuove generazioni.

Anche perché forse è proprio l’ottimismo che può darci la forza di rimboccarci le maniche per riparare ai danni perpetrati dalla politica (o semplicemente a causa della sua assenza).

Il popolo del metapontino ha lanciato un monito a chi vorrà tornare a dialogare con la nostra comunità: non abbiamo bisogno di passerelle e di teatrini, abbiamo bisogno di fatti.

E i fatti passano attraverso una precisa collocazione: essere rappresentativi di chi vi ha eletti abbandonando maggioranze e partiti e battendosi a fianco della comunità, o continuare a condividere azioni e decisioni dei vostri referenti che continuano ad accanirsi contro il vostro territorio.

Rocco Caramuscio

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