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Ricostruzione, a 40 anni dal sisma dell 1980

La ripartenza dopo le macerie: quarant’anni dopo, seppure con le dovute differenze, la storia ci mette di fronte alla stessa sfida. Oggi come allora siamo chiamati a uno sforzo corale di responsabilità e coraggio per una compiuta ricostruzione. Con una complicazione aggiuntiva data dall’innegabile aumento, in questi anni, delle disparità territoriali. Si tratta di uno dei più evidenti
effetti della scarsa capacità di gestire la ripartenza post trauma non solo come disponibilità immediata di cassa, ma piuttosto come occasione di investimenti per ricadute curative e non soltanto lenitive. Una mancanza di adeguata visione strategica che negli anni ci ha esposto a fragilità crescenti.
I dati lo dicono in maniera inequivocabile: l’inizio del processo di progressivo spopolamento nelle aree interne della nostra Regione affonda le radici proprio nella mancanza di una risposta adeguata e tempestiva, in termini di ripartenza e di prospettive di sviluppo per i territori. Ne sono derivati i più grandi problemi a cui ora siamo chiamati a dare risposta: scarsa capacità competitiva complessiva del sistema, bassa qualità dei servizi territoriali, fenomeni migratori e spopolamento,
marginalità delle aree interne. Fenomeni successivamente acuiti dalla diversa capacità dei territori italiani di assorbire le
conseguenze delle profonde crisi che ci sono state a partire dal 2008. L’emergenza Covid 19 ha dato la “batosta finale” contribuendo ad allargare la forbice tra Nord e Sud del Paese. La fotografia che emerge dai dati resi disponibili nei giorni scorsi dalla Banca d’Italia rende conto degli impatti significativi della pandemia sull’economia regionale.
Tutto questo ci conduce oggi a una scelta non più solo auspicabile ma necessaria: imboccare la strada della discontinuità, traendo dagli errori del passato la più preziosa lezione per imprimere un altro corso alla nostra Storia. Proprio dalla ricostruzione del post sisma arriva l’indicazione per la via maestra: al netto degli errori, degli sperperi e anche delle casistiche fraudolente che pure non sono mancate, le realtà industriali frutto degli investimenti agevolati di quegli anni sono ancora oggi i pilastri della tenuta economica e sociale della nostra regione. Sono questi i motori più potenti da azionare per la ripartenza.
Il Sud e la Basilicata devono tornare a essere protagonisti di una nuova politica industriale.
All’interno di una visione complessiva nazionale che riconosca nel definitivo superamento dello storico divario territoriale italiano una priorità assoluta non solo del Mezzogiorno ma dell’intero Paese. A meno di sciagurate complicazioni dei framework finanziari sovranazionali, le risorse si annunciano significative e congrue, tanto a livello di strumenti di intervento ad hoc messi in campo, quanto con riferimento ai cicli di intervento comunitario, completando l’attuazione per quello in corso e per il sessennio 2021-2027, cercando di non scollinare troppo nella definizione di quello prossimo.
Ripartire dunque da cosa? Innanzitutto da un’impostazione che previlegi nell’allocazione delle risorse quelle destinate agli investimenti nei settori strategici che, per quanto ci riguarda, sono infrastrutture e opere pubbliche, interventi di messa insicurezza del territorio, ma anche sostegno agli investimenti produttivi e alla transizione energetica, trasformazione digitale, innovazione e formazione.
Ci auguriamo, poi, di essere ormai alla vigilia della concreta partenza della Zona economica speciale Jonica, dopo le indiscrezioni circa l’imminente nomina del commissario e dopo l’annuncio da parte dell’assessore Cupparo dell’istituzione della Zona franca regionale a Ferrandina oggi, e presto anche in provincia di Potenza. Parte da qui una sfida incredibile per la nostra Basilicata e per il rafforzamento del nostro tessuto produttivo. Sappiamo che sono stati già palesati gli interessi di importanti investitori. Dobbiamo però riconoscere con grande franchezza che senza garantire una dotazione infrastrutturale adeguata saremo destinati a perdere almeno una parte del treno di opportunità in corsa.
Per l’effettiva ripartenza è poi necessario rafforzare variabili di contesto e tra queste inserisco innanzitutto la necessità di procedere con rinnovato coraggio e speditezza alla semplificazione normativa ed amministrativa, hic et nunc. C’è un problema di execution nel nostro Paese e quindi anche in Basilicata, accanto ad un sentimento che non è sempre benevolo rispetto allo svolgimento delle attività produttive, specie di natura industriale. Se ne prenda atto una volta per tutte e si scelga da che parte stare: tra gli attori dello sviluppo economico o dalla parte di chi vagheggia improbabili sorti magnifiche e progressive imperniate su direttrici quantomeno stravaganti.
Una classe dirigente, nella sua accezione più lata, all’altezza dei tempi è assolutamente necessaria e quindi per quanto possibile la si reperisca, ove non bastevole nei numeri e nelle competenze, e la si metta in campo, in un’ottica di servizio civile. Ma la questione non è tanto la effettiva disponibilità di risorse come rivela il dato relativo alla capacità, o meglio, incapacità di spese delle risorse comunitarie. Il vero nodo è utilizzare tali risorse in discontinuità rispetto agli errori del passato; mettere un argine alla spesa improduttiva, agli interventi di natura meramente assistenziale, alle scelte orientate esclusivamente al mantenimento
del consenso elettorale o alla difesa di rendite di posizione da parte degli attori economici e sociali. In conclusione, occorre uno sforzo corale di responsabilità e coraggio che ci consenta di transitare dalla zona di confort del sufficiente all’ambizione dell’ottimo.
Questo potrà avvenire alla condizione che non ci si divida, a Potenza come a Roma, e che si privilegi il metodo della condivisione dei fini e degli strumenti frutto di un ritrovato spirito di comunità e solidarietà.
Francesco Somma  – Presidente Confindustria Basilicata
 

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