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Vescovo di Matera-Irsina: Omelia della notte di Pasqua

Carissimi fratelli e sorelle, Cristo è risorto! È veramente risorto!

In questa notte santa, anche se l’ora quest’anno non è tarda, vediamo la luce di Cristo che allontana le tenebre della morte.

Si, proprio quella morte che pensava di aver vinto sconfiggendo Dio, collocandolo in un loculo scavato nella roccia e sigillato con un grosso macigno.

Quella morte che pensava bastasse imbalsamare il corpo con aromi profumati per rendere meno amaro il dolore di chi era rimasto in vita.

Le donne si recano di buon mattino al sepolcro perché la sera precedente non avevano fatto in tempo a lavare e ricoprire di aromi il corpo di Gesù. Nel loro cuore c’è solo disperazione, dolore. Il ricordo di quella lunga giornata, durante la quale voci discordanti si accavallavano, pianti si confondevano tra grida di dolore e di compiacimento, aveva lasciato dentro di loro l’immagine del patibolo, della croce. Si portano dentro il ricordo della morte, nient’altro.

Hanno dimenticato presto gli insegnamenti di Gesù o forse non hanno avuto abbastanza tempo per meditarli e assimilarli. Per loro è difficile credere che Gesù sia Dio e che la morte su di lui non ha nessun potere.

Le donne vanno a visitare il sepolcro, a cercare il Crocifisso. Allo stesso modo continuiamo a rivedere le immagini di questi giorni, a ripensare alle statistiche del diffondersi della pandemia che, per quanto il trend dei contagi dia segnali di miglioramento, ci terrorizza e siamo combattuti da una parte di voler uscire di casa e dall’altra di rimanere chiusi per la paura di essere contagiati.

D’altronde i giorni di calvario e di dolore non si possono cancellare facilmente. Le decina di migliaia di morti in tutto il mondo, il sacrificio di tanti medici (solo in Italia oltre cento deceduti nel curare tanti ammalati), di paramedici, di sacerdoti, diaconi, suore, fanno ritornare in mente quanto Gesù aveva insegnato ai suoi discepoli: “Non c’è amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici”.

Quanto abbiamo da imparare da questi fratelli e sorelle! Fare tesoro di una eredità così ricca, intrisa d’amore vero, diventa per tutti monito per guardare al futuro non rimanendo fermi ai piedi del crocifisso.

La nostra fede c’impone di fare delle scelte: il venerdì santo ci appartiene, anzi appartiene a tutti, perché tutti proviamo sentimenti di impotenza, di dolore e di rabbia di fronte a momenti così tristi, come quelli di questi giorni. Ma la nostra fede è pasquale: vittoria su ogni forma di morte.

Il problema che si pone davanti a noi non è soltanto trovare l’antidoto al COVID19, ma sconfiggere la superficialità dei rapporti umani, l’indifferenza, gli egoismi, la rassegnazione, la mancanza di uno stile di vita capace di guardare al bene di tutti, la dialettica approssimativa e demagogica, la diffamazione dell’altro per interessi personali o di bandiera. L’elenco sarebbe lungo.

Celebrare la Pasqua significa, allora, risentire con orecchio più attento e animo libero il terremoto che c’è stato al momento della morte di Gesù, sul Golgota che si ripete, ora al sepolcro. Il primo indicava la vittoria della morte sulla vita, il secondo la vittoria della vita che distrugge la morte. E tutto questo lo può fare solo Dio, non è nel potere degli uomini.

Sono i terremoti che stanno sconvolgendo la nostra vita in questi giorni, terremoti mai avvertiti prima con una tale intensità. Le nostre abitudini sono improvvisamente e forzatamente cambiate. La terra trema ininterrottamente sotto i nostri piedi e ci sentiamo piccoli, fragili.

Ma il terremoto che deve sconvolgere positivamente la nostra vita, più forte del primo, è il terremoto della risurrezione di Gesù che ha cambiato la storia dell’umanità e che oggi, lo stiamo sperimentando, sta cambiando il nostro vivere.

Questo terremoto aiuta a liberarci delle tante pietre, diventate macigni, che da soli non riusciremmo mai ad allontanare dalla nostra esistenza: drammi che riguardano il nostro passato, errori commessi che hanno minato seriamente la convivenza con gli altri.

Dio viene in soccorso con il suo Angelo santo per indicarci la strada: vivere da risorti. La pietra rotolata via diventa sedile per l’angelo. La morte, che voleva sigillare per sempre la vita, è stata sconfitta, distrutta, resa inerme.

Anche quest’anno ci viene chiesto in questa notte di esultare, di cantare un canto nuovo. Com’è possibile farlo in questo clima di sofferenza? Perché ci viene chiesto tutto questo?

Perché siamo cristiani, apparteniamo a Cristo, siamo suoi, discepoli del risorto. Facciamo parte di quella schiera infinita di uomini e donne, giovani, anziani, ragazzi e bambini che ricevono la certezza che la croce è vinta. Il nostro sguardo è rivolto all’eterno: già adesso guardiamo fiduciosi al futuro della nostra esistenza, non come prima, ma in un modo nuovo, bello, autentico, da risorti.

Le donne, al tempo di Gesù, non erano considerate credibili, ma la sua risurrezione le rese capaci di annunciare con forza, in un mondo ostile, che Cristo era realmente risorto.

È quanto siamo chiamati a fare anche noi in questi giorni. A volte, senza rendercene conto, diamo la responsabilità di quanto accade a qualcuno, compreso Dio. E invece sarebbe il caso che tutti ci chiedessimo: come mai si è generata questa pandemia? E se la causa di tutto fosse l’ambizione di sentirci “DIO”, come al tempo di Noè, quando le altissime torri costruite per raggiungerlo crollarono improvvisamente addosso?

La Parola che abbiamo ascoltato ci dà risposte concrete. Dio non può essere la causa dei nostri guai.

Nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi, abbiamo sentito che Dio crea ogni cosa buona, anzi benedice l’uomo, creato a sua immagine e somiglianza. Quindi Dio non può volere il male di chi ha creato. È il momento in cui con il salmista, dobbiamo chiedere: “Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la faccia della terra”.

La storia di Abramo e del Figlio Isacco, ascoltata nella seconda lettura, è una risposta ad un tipo di religione, dalla quale proveniva Abramo, che chiedeva il sacrificio dei propri figli alle divinità. Dio, attraverso la mano dell’Angelo, ferma la mano di Abramo che stava per immolare Isacco: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente!». E anche in questo caso lo ricolma di benedizioni. In risposta alla seconda lettura, il salmista sente che ha bisogno di essere guidato da Dio: «Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra».

Di fronte al mare della disperazione, Dio apre sempre le acque perché il suo popolo, camminando sull’asciutto, ritrovi la liberazione, la salvezza. Scoprire Dio, quale Signore della propria vita, significa sperimentare che il nemico, ogni nemico, che si chiami esercito egiziano o coronavirus sarà sconfitto. Dio sta sempre dalla parte dell’uomo. Ecco perché in questa veglia abbiamo detto: «Voglio cantare al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare. Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza. È il mio Dio: lo voglio lodare, il Dio di mio padre: lo voglio esaltare!».

Anche quando la morte sembrerebbe prendere il sopravvento, togliendoci la vita o un affetto caro, noi possiamo dire con S. Paolo: «Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù».

Con questa consapevolezza ci scambiamo gli auguri della S. Pasqua.

Mai come in questo momento stiamo sperimentando la grande responsabilità che abbiamo tutti di custodire, difendere, salvare la vita. Abbiamo il dovere di conservare la terra che Dio ci ha dato, di curarla con lo stesso amore con il quale si cura un figlio, fragile, piccolo, bisognoso di affetto.

Santa Pasqua a tutti.

✠ Don Pino

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