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Una chiacchierata con Nandu Popu dei Sud Sound System

Comincia con un saluto la chiacchierata telefonica con Nando, carismatico membro dei Sud Sound System, in occasione della loro visita a Torre Regina Giovanna, ad Apani (BR), sabato prossimo, 30 giugno, per un concerto che si preannuncia da fine del mondo, in linea col tema portante del Baccatani Wave 2012, festival musicale organizzato all’ombra della Torre.

Nando: «Prima di cominciare permettimi di fare un grosso saluto a tutti i ragazzi e alle famiglie del movimento “No al carbone”. Tornando a suonare in terra di Puglia, in provincia di Brindisi, il nostro primo pensiero non può non andare a tutti gli sforzi che questa gente fa ogni giorno per riappropriarsi della propria terra. Anzi, della propria salute. Noi non siamo legati al concetto di “terra” nel senso del possesso di zone geografiche, non siamo mica leghisti! Vogliamo che si difenda la terra sulla quale viviamo per consegnare un mondo più sano a quelli che verranno dopo di noi, ai nostri figli. Questo è il messaggio che vogliamo lanciare anche col nostro impegno. La musica ci fa ballare, divertire e ci consente anche di dire qualcosa ma è l’impegno della gente come quelli del movimento “No al carbone” che fa la differenza e che va oltre ogni tipo di ideologia».

Intervistatore: «”21 anni e sentirli tutti”, si legge nella presentazione del vostro prossimo concerto a Torre Regina Giovanna. Come vi vedete dopo 21 di carriera?»

N: «Ventuno anni fa siamo partiti per divertirci. Il Salento non era quello che si vede oggi. Non c’erano luoghi sani per passare del tempo in maniera pulita. Era una terra di cosche. Allora ci siamo rifugiati nelle campagne, come dei carbonari, a fare musica. Pian piano ci siamo resi conto che stavamo sottraendo terreno alle mafie con la nostra arte. Abbiamo capito la potenza della musica, la sua capacità di aggregazione, di coesione, la sua democrazia intrinseca. Lo stesso discorso vale per il dialetto. Il dialetto è un modo di porci in maniera confidenziale alla nostra gente, a chi ci ascolta. In famiglia, ad esempio, è un brutto segno parlare in italiano. Il dialetto, nei nuclei familiari, ricuce dei tessuti che si sono lacerati, riavvicina cuori che si sono allontanati. L’abbandono del dialetto è uno dei simboli della borghesia, quella cattiva, che domina i nostri giorni. Noi abbiamo cominciato a cantare in dialetto un attimo prima che la società decidesse di metterlo da parte, di relegarlo a linguaggio volgare».

I: «A proposito del dialetto, l’anno scorso, a dicembre, siete stati in tour in Australia. Alla faccia di chi dice che il vostro tipo di comunicazione sarebbe limitante!».

N: «Noi siamo prima di tutto musicisti. La musica è un linguaggio universale. La capacità di assimilazione del suono e delle idee nel corpo umano non avviene solo attraverso le orecchie. Ci sono anche delle sinapsi cerebrali che ci fanno reagire con piacere a dei suoni armonici e non ci fanno apprezzare dei suoni striduli: questa è la magia della musica e la sua enorme forza. Non si devono per forza capire le parole per comunicare, basta il suono, la melodia. Sembrano concetti “alti” ma in realtà questa è l’eredità lasciataci dai nostri nonni, dalle nostre mamme, dalle nostre donne che hanno subìto violenze sessuali, ingiustizie da parte dei caporali che le sfruttavano in tutti modi nei campi e fuori. Per curare questi mali ci si dava alla danza, la Taranta. La musica veniva considerata una medicina a basso costo in grado di curare le ferite dell’anima. In maniera universale, oltrepassando i confini e gli steccati imposti dagli idiomi, dalle lingue».

I: «Voi siete, ça va sans dire, salentini. Ma siete sempre in giro. Come vedete la Puglia dall’esterno?».

N: «Dobbiamo essere fieri della nostra Puglia. Ma non dobbiamo cadere nei luoghi comuni. Non siamo la California d’Italia, come qualcuno ci vuol far credere. Siamo una terra povera, arida, umile e fiera, popolata da gente allegra e solare. Siamo un popolo maturo, non ricco ma ricco di spirito. I luoghi comuni che ci sono in circolazione, io li temo. Non dobbiamo cullarci sugli allori, anzi gli allori, belli e profumati, dovremmo piantarli per rendere la Puglia ancora migliore».

I: «Un’ultima domanda. È da poco uscita la tua prima fatica letteraria, “Salento, fuoco e fumo”. I temi sviluppati nell’opera sono gli stessi, più o meno, di quelli che canti coi Sud. Perché, allora, un libro?».

N: «È vero. Il libro affronta argomenti difficili, che in queste terre viviamo quotidianamente e che coi Sud abbiamo spesso affrontato. Tra l’altro apriamo e chiudiamo questa chiacchierata con lo stesso tema, il carbone. Ci sono storie, però, che con la musica è difficile raccontare. Si rischia di essere macchinosi e ripetitivi. Dopo vent’anni di carriera ho sentito il bisogno di capitalizzare le mie esperienze, le mie riflessioni e di fare un esercizio di memoria attiva che, spero, possa diventare collettiva. Quello che vogliamo fare tutti i giorni, con la musica, i libri, l’arte è la rivoluzione del pensiero. Dire che lo sentiamo come una responsabilità sarebbe presuntuoso ma noi ci proviamo. Potrebbe sembrare una forte utopia ma qualche risultato, nel tempo, lo abbiamo ottenuto. Se riusciamo ad avere un piccolo contributo da parte di tutti la rivoluzione del pensiero può dirsi, quantomeno, iniziata. E saremmo già a buon punto».

 Intervista di Maurizio Distante – addetto stampa Torre Regina Giovanna

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