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Autonomia differenziata, Emiliano in audizione in Commissione parlamentare

Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano è intervenuto in audizione alla Commissione parlamentare per le questioni regionali della Camera dei Deputati su indicazione del presidente della Commissione, senatore Francesco Silvestro, in relazione alle Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario.

 

“È un onore – ha detto Michele Emiliano – partecipare a questo momento così importante della vita democratica del Paese. A questa istanza affido le speranze che il Parlamento ponderi adeguatamente il provvedimento sull’autonomia differenziata prima di cedere con esso la propria sovranità a meccanismi di modifica della Costituzione che, sia pure previsti dalla Costituzione stessa, secondo il mio giudizio, la contraddicono. Il costituente ha stabilito che le modifiche alla Costituzione italiana – definita per questo rigida – debbano avvenire attraverso procedure più complesse rispetto a quelle ordinarie; introdurre eccezioni a queste procedure, pur se previste da parte della Costituzione, non fa decadere la verifica di costituzionalità sull’intero procedimento. In altri termini, quandanche si volesse procedere alla modifica della Costituzione attraverso una legge ordinaria che trova la sua base normativa su una norma costituzionale, questa legge non sarebbe esentata dal rispetto delle altre norme della Costituzione”.

 

“Il provvedimento in discussione – ha chiarito Emiliano – adotta una procedura abbreviata per introdurre modifiche che incidono sui poteri delle Regioni e toccano il cuore della macchina dello Stato e la tenuta sociale e finanziaria del Paese; tale provvedimento non può non rispettare tutte le altre norme della Costituzione. Noi, invece, siamo davanti a un’operazione che non ha molti precedenti al mondo perché si sta consentendo al Governo e alle Regioni – cioè a due istanze che, in base al nostro ordinamento, non detengono la sovranità, che appartiene al Parlamento – di individuare forme diverse, non sperimentate e irreversibili di assetto della governance del paese. Davanti a questa operazione, la cautela con la quale il Parlamento deve operare – giacché è chiamato a cedere la sua sovranità a un’intesa tra singole Regioni e Governo – dovrebbe essere estrema. Pertanto, mi permetto di chiedere al Parlamento che prima di procedere a questa cessione di sovranità, utilizzi un principio di precauzione analogo a quello che si utilizza per le norme ambientali, volto ad escludere in modo oggettivo, specifico e categorico che la disposizione in discussione possa provocare qualsiasi tipo di danno all’assetto costituzionale e finanziario dello Stato, e anche ai principi di eguaglianza tra i cittadini”.

 

“A questo proposito – ha proseguito il presidente della Regione Puglia – vorrei sottolineare che l’articolo 119 della Costituzione prevede di attuare le misure perequative di promozione a favore dello sviluppo economico delle Regioni svantaggiate. Questo articolo, attualmente, non trova attuazione in una misura tale da superare queste differenziazioni. Come si fa, allora, a variare l’assetto dei poteri dello Stato, con il rischio di irrigidire il bilancio pubblico e di rendere l’articolo 119 impossibile per i futuri governanti del paese? Infatti, nel momento in cui le risorse finanziarie vengono derivate su funzioni aggiuntive a determinate Regioni, l’articolo 119 risulta menomato nella sua capacità di perequazione. Per questa via, un Parlamento che dovesse deliberare qualunque tipo di normativa di questo tipo dopo l’eventuale devoluzione delle materie, dovrebbe tener conto di avere ceduto una delle sue funzioni fondamentali, che è quella di bilancio. Attraverso la modifica ex articolo 116 della Costituzione, infatti, il Parlamento cede di fatto la sovranità sul bilancio, perché il bilancio, una volta impegnato in maniera irreversibile sui bilanci delle Regioni che ottengono la devoluzione, non è più reversibile, o comunque non è reversibile nei tempi, nei modi che sono a disposizione del Parlamento per intervenire velocemente e con efficacia. Quindi, su questa questione, io vi prego di salvaguardare innanzitutto la vostra sovranità, e cioè di fare in modo che il provvedimento preveda che il Parlamento abbia sempre e comunque la possibilità di fare quello che la Costituzione prevede che il Parlamento possa fare. Il Parlamento è, infatti, sovrano assoluto della nostra struttura costituzionale. Cedere la sua sovranità alle Regioni, oltre a essere un’azione formalmente contra constitutionem, è anche un’attività pericolosa dal punto di vista finanziario”.

 

“Vengo al nodo delle risorse. Nel provvedimento – ha dichiarato Emiliano – posso dire senza tema di smentita che i criteri per la determinazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie che possono essere trasferite alle Regioni ad autonomia differenziata non sono preventivamente stabiliti. Tutto viene rinviato all’intesa tra Governo e Regioni, con l’aggravante che su questa intesa il Parlamento potrà esercitare al massimo un diritto di veto, senza poter intervenire sul suo contenuto. Anche questo rappresenta un vulnus che mi auguro possa essere risolto. La speranza è che la Commissione bicamerale possa difendere il diritto-dovere del Parlamento di gestire questa vicenda salvaguardando le potestà dello Stato. Perché lo Stato – pur nel contesto di una governance multilivello prevista dalla Costituzione – esiste ancora. E, d’altra parte, possiamo dire che lo Stato esiste in modo particolare sulle materie che riguardano il Mezzogiorno e con riferimento alle Politiche di Coesione. In questo momento, infatti, lo Stato ha accentrato sulla Presidenza del Consiglio dei Ministri praticamente la totalità delle risorse delle Politiche di Coesione e persino di quelle europee, perché – agendo sul Fondo di Sviluppo e Coesione destinato al cofinanziamento – sta sostanzialmente influenzando la potestà delle Regioni di riutilizzare i Fondi europei. Quindi, almeno nella contingenza attuale del nostro Paese, realizzare l’autonomia differenziata significherebbe consentire ad alcune Regioni di avere un bilancio autonomo – a cui si aggiunge il bilancio dello Stato che viene devoluto per le singole materie – e porterebbe le Regioni del Mezzogiorno, che non avranno la possibilità di richiedere materie in devoluzione, a subire il totale accentramento di risorse da parte del governo attuale. Mi riferisco alle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione, delle aree interne, della ZES e così via. La perdita di controllo sulle risorse, inoltre, provocherebbe effetti differenziati tra Nord e Sud perché, come noto, le risorse della Coesione per il Mezzogiorno sono più essenziali al Sud che al Nord: nelle regioni del Sud, infatti, l’FSC prende il posto del maggior gettito fiscale su cui le Regioni del Nord possono contare attraverso i normali meccanismi fiscali, e consente la realizzazione parziale dell’articolo 119 della Costituzione. Far saltare questo meccanismo sarebbe estremamente pericoloso”.

 

“Anche gli equilibri di finanza pubblica potrebbero risentire dell’autonomia differenziata – ha aggiunto Emiliano -. La frammentazione delle funzioni, infatti, può provocare delle diseconomie di scala.  Prendiamo il caso delle ZES per il Sud, per le quali il Governo ha ritenuto di attuare una procedura di semplificazione amministrativa e di omogeneizzazione delle procedure di finanziamento. Da un lato, quindi, si unificano le ZES per il Sud in campo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; che fare, però, di tutte le altre politiche di attrazione degli investimenti nelle Regioni più ricche che consentono la devoluzione? Verranno prelevate direttamente in quota fissa al gettito dei tributi erariali? Cosa accadrebbe se la dinamica delle basi imponibili dovesse riprendere e se le Regioni più ricche dovessero avere un gettito fiscale maggiore rispetto alle funzioni che sono state delegate? In che maniera verrebbero recuperate all’erario dello Stato e alla potestà dello Stato le risorse eccedenti che eventualmente queste Regioni dovessero procurarsi? Siamo, di nuovo, al problema fondamentale della perequazione, che è lo schema della Costituzione repubblicana. Dovrebbe essere lo stesso disegno di legge a stabilire le modalità del recupero di queste risorse, anche per garantire al Parlamento di mantenere la sua sovranità sull’eccedenza. Occorre quindi una grande cautela sulla gestione del cosiddetto surplus positivo, e non mi pare che, su questo tema, le valutazioni operate da commissioni paritetiche possano essere equivalenti a quelle fatte dal Parlamento. Bisogna quindi chiarire se la potestà delle commissioni paritetiche di ridefinire gli oneri finanziari siano esercitabili attraverso una richiesta da parte delle Regioni che non avranno la forza di chiedere le materie suppletive”.

 

“Questo provvedimento – ha aggiunto Emiliano – viene spesso contrabbandato come qualcosa che viene fatto per il Sud, per superare la questione meridionale. Siamo sinceri: non si può raccontare questa storia al popolo italiano perché è evidente che il Mezzogiorno avrà più difficoltà proprio per le questioni di finanza pubblica e di irrigidimento del bilancio generale dello Stato di cui ho parlato. C’è inoltre il rischio che questa riforma aumenti un debito pubblico già altissimo e renda quasi impossibile fare le prossime leggi di bilancio. Le leggi finanziarie approvate da tutti i governi che, negli ultimi anni, si sono succeduti alla guida del Paese, sono state caratterizzate da terribili difficoltà e questo disegno di legge arriverebbe in uno dei momenti economici peggiori della storia della Repubblica italiana. Va fatta, dunque, anche una valutazione sulla tempistica delle riforme. Ci sono riforme che si possono fare subito e riforme che vanno rinviate a causa delle condizioni del Paese, così come fu per la nascita delle Regioni, che sono state istituite dopo il boom economico, quando eravamo certi che il Paese avrebbe potuto permettersi quel principio di devoluzione delle funzioni dello Stato. Questo tempo non è caratterizzato dalle stesse congiunture. L’Italia non è ancora pronta. Basti pensare che i LEP, i livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla legge Calderoli, non sono mai stati attuati. Siamo in ritardo di 20 anni. Mi chiedo, dunque: come si fa, senza essere riusciti ancora a realizzare il cosiddetto federalismo fiscale, a passare direttamente all’attribuzione di nuovi poteri alle Regioni? Come si fa a parlare di autonomia differenziata senza aver compreso prima il funzionamento del meccanismo perequativo delle risorse delle Regioni?”

 

“Proprio per queste ragioni – ha detto Emiliano –  esiste il Parlamento, che è chiamato a mediare tra interessi diversi e legittimi e deve trovare una soluzione che tenga il Paese unito. I Parlamenti non esistono perché sono particolarmente veloci o efficienti ma perché rappresentano un cervello collettivo. Sebbene sia più lento della intuizione notturna di un grande leader, un cervello collettivo ha il potere di creare consenso intorno alle questioni che riguardano la comunità e, anzi, costruisce intorno a quella decisione un senso di giustizia che viene anche dalla matematica, perché mostra che una decisione è sostenuta da un numero elevatissimo di componenti della società. Questa è la forza della democrazia. Se qui la assaltiamo e rendiamo marginale il Parlamento, mettiamo a rischio la forza della democrazia. Mi rendo conto che ogni maggioranza ha di fronte dei problemi e delle priorità, ma faccio notare che il Parlamento, qualora votasse nell’immediato questo provvedimento, rischierebbe di dover dire sì o no su una questione importantissima come l’autonomia differenziata in assenza di norme intelligenti capaci di destrutturare gli attriti e i conflitti, anche inter-istituzionali, che in futuro potrebbe derivare dal provvedimento. Pensiamo al caso delle Regioni che potrebbero non partecipare all’intesa col Governo sulle materie da devolvere: potranno fare osservazioni sull’intesa o dovranno affidarsi a una sorta di trattato internazionale tra Governo e singole Regioni sul quale il Parlamento potrà dire solo sì o no? Se un conflitto del genere arrivasse in tempi che potrebbero essere di guerra, di emergenza o di pandemia, si renderebbe feroce il ricatto nei confronti del Parlamento. Ecco perché il conflitto va previsto e depotenziato prima; ed ecco perché non può che farlo il Parlamento stesso con la legge-quadro che si accinge ad approvare”.

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