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Ex Ilva, il presidente Emiliano in audizione alla 9^ Commissione del Senato

Nella serata di ieri, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano si è collegato in videoconferenza con l’audizione informale della Commissione Industria e Agricoltura del Senato, presieduta dal senatore Luca De Carlo, per l’esame del ddl n. 986 di conversione in legge del decreto-legge n. 4 del 18 gennaio 2024, recante “Disposizioni urgenti in materia di amministrazione straordinaria delle imprese di carattere strategico”.

 

“L’iniziativa legislativa di cui si discute – ha esordito Emiliano – non può prescindere dalla definizione di un Piano Industriale di Acciaierie d’Italia che contempli non solo l’operatività e la sostenibilità economico-finanziaria dell’azienda, ma anche il piano concreto di decarbonizzazione, con indicazione dei tempi e delle fonti finanziarie necessarie. Nonostante le richieste formulate da tutte le parti coinvolte, compresa la Regione Puglia mediante precedenti note e audizioni, questo Piano Industriale non è noto. Il tutto avrebbe dovuto far parte di un Accordo di programma più volte annunciato dal ministro Urso, ma di cui ad oggi non abbiamo notizia”.

 

“In secondo luogo, non è chiaro quale sarà il punto d’approdo dell’Amministrazione straordinaria. Si vuole costituire una Newco a maggioranza statale – e secondo noi sarebbe la strada migliore, che darebbe più garanzie anche rispetto al processo di decarbonizzazione – oppure si intende costituire una Newco con maggioranza nelle mani di soggetti privati? A meno che non sia la stessa Amministrazione straordinaria a governare il processo didecarbonizzazione, ma allo stato attuale questa prospettiva non si evince dal provvedimento in esame”.

 

“La Regione Puglia, inoltre, vorrebbe conoscere con quali fondi verrà rifinanziata la sperimentazione dell’idrogeno nel preridotto (DRI), che avvia il processo di decarbonizzazione, prevista inizialmente dal PNRR con risorse per 1 miliardo di euro e definanziata con la modifica dello stesso PNRR approvata dalla Commissione UE, anche in considerazione del fatto che sin da luglio 2023 la gara per la realizzazione delle infrastrutture legate al DRI è stata correttamente aggiudicata”.

 

Con riferimento alla situazione delle imprese dell’indotto, il presidente Emiliano ha ricordato che “nell’incontro con i sindacati del 24 gennaio scorso, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, dopo aver fatto intravedere tre scenari possibili per risolvere la vertenza ex Ilva, aveva comunicato tre misure a favore delle imprese dell’indotto: l’accesso agevolato a un Fondo di garanzia per le PMI; l’estensione in deroga della cassa integrazione – misura, questa, non semplicissima dal punto di vista giuridico; e la prededucibilità dei crediti di queste imprese nell’amministrazione straordinaria. Il ddl in oggetto non prevede queste misure. Dal punto di vista politico, adottare questi provvedimenti potrebbe avere una grande importanza perché le imprese dell’indotto, in grandissima difficoltà, sono sul piede di guerra e già ieri hanno bloccato l’intera città”.

 

Passando all’esame di merito del ddl, il presidente Emiliano ha formulato alcune osservazioni sugli articoli 2 e 3.

 

Con riguardo all’articolo 2 (che consente al MEF di concedere uno o più finanziamenti a titolo oneroso della durata massima di 5 anni, nel limite massimo di 320 milioni di euro per l’anno 2024, in favore delle società che gestiscono gli impianti siderurgici della Società ILVA S.p.A., qualora le stesse siano ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria, al fine di supportare le indifferibili e urgenti esigenze di continuità aziendale e assicurare la salvaguardia dell’ambiente e la sicurezza nei luoghi di lavoro), Emiliano ha osservato che “la Regione Puglia domanda la previsione dell’obbligo di pagamento delle imprese dell’indotto, al fine di tutelarle nell’ipotesi di amministrazione straordinaria, e richiede che le somme stanziate siano considerate soltanto come un primo passo di un programma più ampio di rilancio ambientale, sociale ed economico dell’impresa”. Il presidente ha inoltre ribadito che “le risorse stanziate dal governo appaiono insufficienti e, pertanto, appare opportuno che l’azienda chiarisca, e quindi anche il socio pubblico, non solo a quanto ammonta esattamente l’attuale debitoria ma anche la situazione del conto economico/flussi di incassi relativi ai prossimi anni, con una integrazione di dati riferita alle imprese dell’indotto. Ci rendiamo conto che il socio pubblico, praticamente, non riesce a mettere più piede in Acciaierie d’Italia e ad accedere alle scritture contabili, ma crediamo che in una fase come questa, in un momento in cui vanno prese decisioni politiche, il Senato e questa Commissione avrebbero il diritto di conoscere a quanto ammonta esattamente il debito che l’amministrazione straordinaria deve in qualche maniera affrontare”.

 

Con riferimento all’articolo 3 del ddl, che reca disposizioni in materia di cassa integrazione straordinaria per le imprese strategiche in amministrazione straordinaria, Emiliano ha evidenziato che, sebbene la norma disponga la continuità della cassa integrazione con il subentro dell’Amministrazione straordinaria, la CIGS viene concessa senza l’obbligo dell’accordo sindacale preliminare e del cosiddetto esame congiunto, che prevede anche la partecipazione della Regione. “Si tratta – ha detto Emiliano – di esclusioni gravissime che impediscono il confronto sullo stato d’avanzamento del piano di riorganizzazione aziendale, e cioè del piano industriale, e la condivisione di un piano mirato di politiche attive del lavoro a favore dei lavoratori posti in CIGS a zero ore. Andrebbero proposti, pertanto, il ripristino dell’obbligo dell’esame congiunto e dell’accordo sulle politiche attive, che la Regione Puglia è pronta ad offrire, così come già fatto con successo per i lavoratori ex Ilva in cassa integrazione. Non si può prescindere, in tale percorso, dall’incontro preliminare, nell’ambito della concessione della CIGS o proroga, con le Organizzazioni Sindacali e l’azienda”.

 

“Considerato lo stato di grave difficoltà in cui versano le aziende dell’indotto – ha proseguito Emiliano – occorrerebbe prevedere l’estensione della CIG in deroga per le aziende dell’indotto con meno di 15 dipendenti, ed alle altre, con più di 15 dipendenti, operanti al di fuori dell’area di crisi industriale complessa di Taranto. In Puglia, infatti, abbiamo aziende fornitrici di Acciaierie d’Italia, in regime di monocommittenza, ubicate al di fuori della Provincia di Taranto, che hanno avviato il processo di dismissione aziendale per l’assenza di ammortizzatori sociali in deroga.

Invece, esaurite le scarse risorse del Fondo Integrazione Salariale presso l’INPS, non esistono strumenti di protezione dei lavoratori di aziende con meno di 15 dipendenti”.

 

Da ultimo, ancora con riguardo all’articolo 3 del ddl, il presidente della Regione Puglia ha sottolineato la necessità di “prevedere che gli addetti alla manutenzione degli impianti e alla sorveglianza delle attività connesse alla sicurezza possano essere interessati a rotazione dai processi di riduzione o di sospensione dell’attività lavorativa soltanto qualora i medesimi lavoratori non siano direttamente impegnati in specifici programmi, relativi alle suddette manutenzione e sorveglianza, ovvero in specifici programmi formativi”.

 

In conclusione, Emiliano ha annunciato che la Regione Puglia è disponibile a supportare le difficoltà delle imprese dell’indotto che vantano enormi crediti con proprio avanzo vincolato: “Laddove lo Stato italiano non avesse disponibilità finanziaria per sostenere questa fase particolarmente delicata delle imprese dell’indotto – ha detto – la Regione Puglia, al fine di mitigare gli effetti negativi sulle ragioni di credito di tali imprese, è disponibile, in presenza di una norma statale che lo consenta, a garantire il proprio sostegno destinando le risorse vincolate del risultato di amministrazione, come abbiamo già fatto, peraltro, per coprire le spese di disavanzo in sanità. Ovviamente si tratta di una misura che ha un impatto sul bilancio dello Stato, e quindi dalla Ragioneria vi diranno che questo aumenta e rende più difficile il pareggio di bilancio. Tuttavia, è impensabile che, per due volte, una fabbrica gestita dallo Stato non faccia fronte alle proprie obbligazioni nei confronti delle aziende dell’indotto, che sono insostituibili e stanno rischiando il collasso, con relativo collasso della stessa fabbrica”.

 

Rispondendo alla domanda del senatore Turco in relazione alla preferibilità dello strumento dell’Accordo di Programma per la diversificazione industriale e la riconversione economica di Taranto, Emiliano ha dichiarato: “Sono d’accordo sull’Accordo di programma. Sarebbe interessante se il testo di legge in discussione prevedesse questo strumento quale forma giuridica preferita per mettere insieme i soggetti pubblici e privati che devono formulare il piano industriale, il piano di rilancio, la verifica dei debiti verso l’indotto e la cassa integrazione, in modo tale da inserire nell’Accordo di programma anche la realizzazione di tutti i progetti annunciati a gennaio 2023 e poi scomparsi, come il desanilizzatore o il rigassificatore”.

 

Replicando al quesito del senatore Bergesio in riferimento alle istanze ambientaliste che richiedono la chiusura dell’ex Ilva, il presidente della Regione Puglia ha osservato che “non solo gli ambientalisti, ma un enorme numero di cittadini, direi la quasi totalità dei cittadini, avrebbe preferito che l’Ilva non fosse mai esistita a Taranto. Taranto, da sessant’anni, sopporta per conto dell’intero paese un sacrificio che ha provocato centinaia e centinaia di morti per incidenti sul lavoro, ma anche a causa di malattie respiratorie, cardiocircolatorie, tumori e così via. Onestamente, la Regione Puglia non si pone in questa visione, che è una visione che deve essere nella coscienza del legislatore e del governo. La fabbrica ha carattere strategico, viene gestita direttamente dal governo della Repubblica Italiana e nel momento in cui il governo decide che la fabbrica deve funzionare, noi ci dobbiamo preoccupare, oltre che di dire la nostra sulla dannosità estrema di questa fabbrica nel corso degli anni, anche di fare tutto il possibile per attutire questa pericolosità. Resta il fatto che se il governo decidesse di chiudere la fabbrica, certamente noi non ci opporremmo. Credo che molti festeggerebbero perché i costi umani e anche i costi finanziari che lo Stato sta sopportando per tenerla aperta sono elevatissimi. Con lo stesso denaro, avremmo probabilmente già trovato altre fonti di sostentamento e altre fonti di lavoro per quelle persone. Resta il fatto che l’acciaio italiano da qualche parte deve essere prodotto. La disgrazia è capitata a noi. Se a Genova sono riusciti a chiudere gli impianti a caldo anche grazie alla loro forza politica maggiore, a Taranto non ci sono riusciti e si continua ad avere una scia di morte che è stata certificata da una sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Taranto per avvelenamento di sostanze alimentari, che ha condannato a decine di anni galera i proprietari della fabbrica e i responsabili dei vari settori produttivi. Quindi, non direi che la battaglia è solo degli ambientalisti, ma è la battaglia di persone di buon senso che sanno che una delle città più belle d’Italia che è Taranto, senza quella fabbrica, avrebbe avuto il destino di tante altre città pugliesi che oggi sono un vanto turistico, universitario, industriale, di produzioni a minore impatto con innovazioni tecnologiche importanti. Senza quella fabbrica, avremmo evitato catastrofi umane credo imparagonabili. Forse, solo la Fibronit a Bari, che abbiamo bonificato, ha provocato un numero di morti paragonabile a quello della fabbrica di Taranto. È un peso che i pugliesi, in particolare tutti i tarantini, sopportano per conto dell’Italia intera”.

 

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