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Lettera Quaresima 2015 di Monsignor Ligorio

Carissimi fratelli e sorelle,
1.L’appuntamento annuale della Quaresima mi consente di rivolgermi, ancora una volta, a tutti voi che siete la mia amata famiglia diocesana.
Sarei davvero felice di sapere che i quaranta giorni di Quaresima che ci attendono, siano capaci di orientare il nostro sguardo di fede verso i quaranta giorni di Gesù nel deserto e a ciò che Egli patì e ottenne, mediante il digiuno e l’essere tentato.
Solo se i nostri occhi di fede saranno fissi sul Maestro, tentato e vittorioso nel deserto, sarà anche per noi un tempo privilegiato per un autentico cammino di cambiamento che aiuta a ritrovare l’unità interiore attraverso la disciplina del cuore.
Tutti siamo invitati, con un’adesione vera, a mostrare attenzione alla scelta di conversione che è proposta dal Vangelo, attraverso il digiuno, la preghiera, la carità, l’ascolto della Parola e la partecipazione all’Eucaristia.
I giorni di Quaresima sono per noi, come ben sappiamo, una realtà sacramentale, lo ricorda l’orazione colletta della prima Domenica, che ci dona la certezza che Cristo è sempre presente e operante nella Chiesa in questo Tempo santo, ed è la sua opera purificatrice nelle membra del suo Corpo a dare valore salvifico alle nostre opere penitenziali (cfr. Direttorio Omiletico, DO 58).
Non è la nostra bravura personale a donarci la misericordia e il perdono del Padre, ma la nostra libera apertura alla Grazia accompagnata dalla fedeltà e dalla perseveranza che permette di farla entrare nella nostra vita e di mettere radici.
La nostra Chiesa diocesana ha iniziato il suo cammino di quest’anno pastorale con un Convegno, che attraverso il tema trattato scandirà il nostro percorso:
Annunciare la vita buona del Vangelo.
La Chiesa continua nel tempo la sua opera di annuncio della bellezza del Vangelo.
“La sua storia bimillenaria – afferma il Cardinale Bagnasco – è un intreccio fecondo di evangelizzazione e di educazione. Annunciare Cristo, vero Dio e vero uomo, significa
portare a pienezza l’umanità e quindi seminare cultura e civiltà. Non c’è nulla, nella nostra azione, che non abbia una significativa valenza educativa”
(Presentazione, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020).
A questo proposito desidero aggiungere un pensiero che ci interessa particolarmente nel tempo di Quaresima e che attingo dall’ Evangelii Nuntiandi di Paolo VI:
“Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d’amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore (…) Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunciare il Vangelo” (EN 15).
Papa Francesco sottolinea questa importante esigenza di lasciarsi evangelizzare per evangelizzare, nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium: “La comunità evangelizzatrice gioiosa sa sempre festeggiare. Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione. L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi” (EG 24).
Lo scopo dell’evangelizzazione è che un uomo e una donna credano “che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (1Cor 15,3-4). Questo è il Kerigma che Paolo chiama “il Vangelo che vi ho annunciato” (1Cor 15,1). E la prima credente in questo Vangelo è la Chiesa, la comunità dei credenti, la quale per evangelizzare l’umanità deve essere essa stessa evangelizzata.
La Chiesa, infatti, non può essere soggetto di evangelizzazione se non è sempre al contempo essa stessa oggetto di evangelizzazione. Noi cristiani non possiamo avere la pretesa di evangelizzare il mondo se non abbiamo l’umiltà di lasciarci incessantemente evangelizzare dal Signore. E la liturgia è il luogo primo ed essenziale nel quale siamo da lui evangelizzati (G. Boselli).
“Nella liturgia – come insegna la Sacrosanctum Concilium – Dio parla al suo popolo e Cristo annuncia ancora il suo Vangelo” (SC 33). “La liturgia – leggiamo nella Verbum
Domini – è l’ambito privilegiato in cui Dio parla a noi nel presente della nostra vita, parla oggi al suo popolo, che ascolta e risponde” (VD 52).
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La liturgia è, infatti, la pratica con la quale nella Chiesa si diventa cristiani e si resta cristiani. Il cristiano – continua Goffredo Boselli in un interessante articolo – è l’opera della liturgia; essa lo forgia, lo forma e custodendolo, lo mantiene cristiano.
L’accedere alla liturgia per una vita intera è, infatti, ciò che tiene in vita il nostro “essere cristiano”, sia personale che comunitario. Noi entriamo nella liturgia ma in realtà è lei che entra in noi, scende nelle fibre del nostro essere credente, plasma il nostro “uomo interiore” (Ef 3,16). Senza liturgia, cioè senza il nutrimento solido della Parola di Dio e il pane dell’Eucaristia, senza l’azione dello Spirito, la consolazione del perdono e l’olio della fraternità, il cristiano deperisce, degenera, muore.
LA QUARESIMA UN ITINERARIO SACRAMENTALE PER LASCIARCI EVANGELIZZARE
2.Carissimi, per le ragioni che vi ho esposto, il tempo della Quaresima è l’opportunità sacramentale che riceviamo in dono per fare “manutenzione” alla nostra vita di cristiani, per lasciarci evangelizzare. “E’ il tempo che prepara le menti e i cuori del popolo cristiano alla degna celebrazione del Mistero pasquale (…)
Le letture bibliche del Tempo di Quaresima trovano il loro senso più profondo in relazione al mistero pasquale a cui ci dispongono” (DO 57).
L’uomo, solo rientrando in sé, aiutato dai quaranta giorni quaresimali, si rende conto di tutta la sua inadeguatezza nel constatare e rimuovere il peccato che lo allontana da Dio e dai fratelli e, in quel momento, prende anche coscienza delle istigazioni che lo producono.
Il fedele, unito a Gesù, entra nella grande prova della Quaresima deciso a scegliere di fare la volontà di Dio in ogni circostanza della vita.
Il tentatore, descritto nella pericope evangelica proclamata nella I domenica di Quaresima (Mc 1,12-15), vuole minare il rapporto tra il Figlio e il Padre e, con il suo intervento, aspira ambiguamente e in forma subliminale a insinuare il dubbio che
Dio ha mentito durante il Battesimo al Giordano, quando ha fatto sentire la Sua voce:
“Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Mc 1, 11).
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La preghiera del Prefazio, di questa I domenica di Quaresima, permette al cristiano che ha ricevuto l’annuncio della Parola, di avere la visione d’insieme del mistero che celebra e che nel sacrificio dell’Eucaristia raggiunge nella sua pienezza:
“Egli consacrò l’istituzione del tempo quaresimale con il digiuno di quaranta giorni, e vincendo le insidie dell’antico tentatore ci insegnò a dominare le seduzioni del peccato, perché celebrando con spirito rinnovato il mistero pasquale possiamo giungere alla Pasqua eterna”.
Il discepolo di Gesù attinge direttamente dal Padre la forza per sopportare e vincere le lusinghe del tentatore, abbandonandosi completamente in Lui e passando attraverso la prova e la Croce di Cristo, che unicamente salva, sicuro che Cristo ha già subìto per tutti la tentazione e ha vinto: “infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” (Rom 5,19).
La liturgia della Parola della II domenica di Quaresima ci accompagna dal deserto delle tentazioni al monte della Trasfigurazione. Il mistero della Trasfigurazione è manifestazione anticipatrice della gloria del Risorto e, per i discepoli di Gesù che percorrono il cammino quaresimale con una revisione attenta della vita, un pressante appello a lasciarsi quotidianamente trasformare dal Cristo Trasfigurato.
La Quaresima chiama a rinnovare l’impegno di vita cristiana, assicurando la possibilità della vittoria e, più ancora, della gloria, ma con l’unica condizione di seguire fedelmente Gesù, come chiede la voce divina: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” (Mc 9,7). La disponibilità all’ascolto consente alla Parola di far crescere nel cristiano la fede, un indispensabile dono, per purificare gli occhi del cuore e poter godere la visione della gloria del Cristo risorto, icona del volto del Padre.
L’invito del Padre, che risuona nell’assemblea domenicale, non richiede al credente un riscontro solo a parole, ma soprattutto una risposta che prenda tutta quanta
l’esistenza del cristiano. Si ripete, nell’uomo illuminato dall’amore paterno di Dio, quanto è avvenuto all’apostolo Paolo: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20).
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E’ totalizzante la vita nello Spirito, conquista il cristiano nella sua globalità e gli fa percepire in pienezza di essere un tralcio legato alla vera vite (cfr. Gv 15, 1-7).
All’interno di questa dinamica spirituale la Croce non scandalizza più e non fa più paura, pur sentendo concretamente il peso e il dolore; la sofferenza, sia fisica sia morale, ha un senso ben definito nell’orizzonte della vita umana completamente illuminata dalla luce del Risorto, “immagine del Dio invisibile” (Col 1,15): “ se moriamo con lui, vivremo anche con lui” ( 2Tim 2,11).
La liturgia della Parola della III domenica di Quaresima conduce, con l’episodio che è proprio dell’evangelista Giovanni (cfr. Gv 2, 13-25), nel luogo centrale della religiosità giudaica, cioè al Tempio di Gerusalemme, nei giorni in cui si “avvicinava la Pasqua dei Giudei” (Gv 2, 13).
Questo salire del Maestro a Gerusalemme non è solo un normale pellegrinaggio alla Città santa ma Egli si reca in quel luogo importante come Figlio per eseguire attentamente la volontà del Padre: obbedendo alle prescrizioni rituali della Pasqua ebraica (cfr. Deut 16,1-6; Lc 2,41) inaugura nel suo Corpo il nuovo altare dove saranno offerti, d’ora in poi, i sacrifici del popolo redento dal suo Sangue.
Per quale ragione Gesù compie questo gesto? Che significato ha per il battezzato offrirlo nella liturgia della Parola domenicale in Quaresima? Il messaggio che ne deriva in che modo deve incidere nella vita di chi sta camminando verso la Pasqua?
Il gesto di Gesù si colloca in continuità con quanto la sapienza profetica, prima di lui, aveva già rilevato. In quest’ottica si spiegano come conseguenza immediata gli attacchi agli scribi e farisei “ipocriti” (cfr. Mt 23,13; 15,7). Ma il Figlio di Dio, più dei Profeti, porta a compimento questa esigenza di vivere bene il rapporto col Padre e il suo gesto diventa messianico con l’offerta di dare un segno non dimostrativo ma definitivo: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,19).
Per l’evangelista Giovanni questo è il segno definitivo: la Risurrezione del Maestro, dopo la passione e morte in Croce e la sua discesa agli inferi. “Il mistero della morte e risurrezione di Gesù viene dunque presentato nel quarto vangelo come il mistero di un Santuario terreno che è trasformato in tre giorni e diventa santuario celeste per mezzo della passione e glorificazione” (A. Vanhoye).
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Comprendere ed entrare nella prospettiva della sapienza di Dio permette di realizzare il culto in spirito e verità (cfr. Gv 4, 23-24) che il Padre promuove e desidera.
La lode, la preghiera liturgica, la vita sacramentale, devono essere sempre coniugate, nella vita del battezzato, con la carità verso il prossimo, l’attenzione ai fratelli nel bisogno e con una coerenza di vita capace di manifestare quanto proclamato con la bocca. L’assiduità nella preghiera e la partecipazione alla liturgia, di questo tempo quaresimale, vanno accompagnate dal cristiano con la carità operosa e un cuore limpido che batte di amore per Dio e il prossimo.
“Cristo Gesù, innalzato sulla Croce, ci guarisce dai morsi del maligno”: questa affermazione, presente nell’orazione colletta domenicale, chiama il cristiano, riunito in assemblea, a comprendere e a celebrare degnamente la IV domenica di Quaresima che pone, dinanzi all’attenzione di fede del battezzato, un altro segno presente nell’antica alleanza e attuato pienamente nell’azione salvifica del Figlio di Dio. Lo esprime Giovanni nel brano del Vangelo, proclamato in questa domenica, riportando le parole che Gesù rivolge a Nicodemo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14).
Sul legno è innalzato il serpente, guardarlo procura la salvezza e la salute fisica al popolo d’Israele. Sul legno della Croce è innalzato Gesù, guardare verso di Lui e credere in Lui è motivo di salvezza e vita eterna per l’uomo.
Possiamo allora affermare con certezza che il tema principale di questa IV domenica di Quaresima è l’amore di Dio, un amore che non ha confronto con quello pensato e attuato dagli uomini, ma che è unico e specifico, di Dio, che lo contraddistingue come creatore e redentore dell’uomo.
Per amore Dio crea il mondo e si rivela agli uomini, salva il popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto, dona la salute fisica dal morso del serpente a quegli Israeliti stanchi e privi di fede. Amore premuroso di Dio è l’editto del re Ciro, nel 538 a.C. -leggiamo nel secondo libro delle Cronache proclamato nella prima Lettura della Liturgia domenicale – che riporta il popolo, dall’esilio babilonese, verso Gerusalemme.
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Ma tutto questo è solo una pallida anticipazione dell’amore di Dio che, invece, raggiunge la sua pienezza quando la Parola si fa carne e viene nel mondo ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14) e soprattutto quando “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe – afferma l’Apostolo Paolo nella seconda Lettura di questa Domenica – ci ha fatto rivivere con Cristo” (Ef 2,4).
La V Domenica di Quaresima pone il battezzato, quasi giunto al termine del cammino quaresimale, alla vigilia della grande Settimana.
Il crescendo di profondità e solidità dei contenuti, della Liturgia della Parola quaresimale, apre ora gli occhi della fede del cristiano, accompagnato di giorno in giorno e di domenica in domenica, dinanzi all’Ora di Gesù.
La Liturgia della Parola ci invita, in questo itinerario di rinnovamento spirituale e di conversione, a contemplare e a comprendere sempre più convenientemente l’Ora di Gesù. Quell’Ora è la fine del tempo della rivelazione manifestata con parole e segni indicatori e, diventa l’inizio del grande Segno, che stabilisce la nuova ed eterna alleanza, della Rivelazione che coincide con l’innalzamento di Gesù sulla Croce e la sua Risurrezione gloriosa dalla morte.
Il Maestro si manifesta in quell’ora fratello con gli uomini, esprimendo fragilità, smarrimento, paura. La lettera agli Ebrei, seconda Lettura di questa Domenica, arriva ad affermare che Gesù “offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte” (Ebr 5,7). Ma il Padre non può farlo, perché il Cristo venne nel mondo in funzione di quell’Ora, per questo Gesù conclude: “che cosa dirò? Padre salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora” (Gv 12,27).
La Croce per Gesù è necessaria, insostituibile, attraverso di essa “imparò l’obbedienza da ciò che patì” (Eb 5,8).
Il battezzato è invitato a guardare a Gesù, contemplarlo nella sua Ora di morte e Risurrezione, in quest’ultima domenica di Quaresima che lo prepara a celebrare i tre giorni Santi. Guardare a Lui significa conoscere il proprio destino: essere chiamati alla gloria. Dall’Ora di Gesù nasce evidente l’invito a seguirlo sulla strada del servizio generoso, gratuito, disinteressato.
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3.Carissimi faccio mio l’invito dell’Apostolo a lasciarvi riconciliare con Dio in questo tempo di Quaresima. L’itinerario che ci offre la Liturgia, di giorno in giorno e di domenica in domenica, è il tempo propizio per fare “manutenzione” a come viviamo la sequela di Gesù. Essa implica identità di vedute con il Maestro, collaborazione alla medesima missione, assimilazione a Lui fino alla sofferenza e alla morte: “dove sono io, là sarà anche il mio servitore” (Gv 12,26).
La Visita Pastorale, ormai conclusa, mi ha permesso di conoscere più profondamente ciascuno di voi. Faccio presa su questa rinsaldata amicizia e collaborazione pastorale per chiedervi di conservare e difendere quanto il Battesimo ci ha già donato, quell’essere una cosa sola con Cristo Gesù che san Paolo esprime bene quando afferma: “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20).
Buona Quaresima.
Matera, 18 febbraio 2015
Mercoledì delle Ceneri
+ Salvatore Ligorio
Arcivescovo di Matera-Irsina

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